IL RE E' NUDO

Scusate la pigrizia, ma quando ce vò ce vò...
Vi riportiamo qui sotto il testo di un interessante articolo tratto da Rockol del 25 settembre.
L'originale è disponibile cliccando QUI.
Tanto per farvi capire in quali "mani" sia la musica in Italia... O dobbiamo dire "zampe" ?


Si è parlato tanto di “sistema musica”, di operatori che devono fare gruppo e formulare strategie coerenti, durante le giornate del MEET Milano che si è chiuso ieri sera nei padiglioni della Fiera di Rho. Ma quel sistema per ora non esiste (bastava girare tra gli stand e buttare un occhio ai convegni per averne immediata conferma) e tanto meno esistono strategie comuni: lo hanno ammesso, ed evidenziato, anche i relatori incaricati di presentare e commentare il Rapporto 2007 sulla Economia della musica in Italia, realizzato dal Centro Ask (Art, science & knowledge) dell’Università Bocconi in collaborazione con Dismamusica (distributori di strumenti musicali), FEM (editori musicali) e SCF (agenzia di collecting fonografico).

Tutti scontano, anche a livello politico e istituzionale (e nonostante la volonterosa presenza in sala del responsabile musica della Direzione Generale Lombardia), la dimensione ristretta del mercato, 2,95 miliardi di euro tra vendite di supporti musicali e di strumenti, diritti SIAE e connessi, incassi al botteghino di concerti e discoteche (“più o meno la spesa che gli italiani riservano alle calzature”, ha spiegato il professor Andrea Ordanini coordinatore del rapporto). Una dimensione sostanzialmente stabile nel suo complesso (- 4,6 % rispetto ai 3,1 miliardi del 2005), anche se al suo interno sta cambiando, e non poco, l’ordine dei fattori: discografia tradizionale a picco ( - 18,1 %, 607 milioni di euro di sell-out, cioè di spesa del pubblico che in tre anni ha perso circa un quarto del suo valore), “digital delivery” in leggerissima crescita (+ 1,5 %, 108,95 milioni di euro) anche se – spiega ancora Ordanini – un elemento di conforto e di speranza per la discografia è dato dalla crescita sostenuta dei contenuti a maggior valore aggiunto, download di brani musicali da Internet e da “mobile” (+ 116 %, da 3,2 a 6,9 milioni di euro) rispetto allo stallo di prodotti “saturi” e meno remunerativi per l’industria come le suonerie (da 104,1 a 102 milioni).

Il rapporto della Bocconi, giunto al suo terzo anno, rileva anche lo spostamento demografico del pubblico (in Gran Bretagna un cd su due è acquistato da chi ha più di 40 anni), la situazione più o meno stabile dell’industria della musica dal vivo (310 milioni di euro gli incassi al botteghino nel 2006: con una spesa annua per famiglia, 12 euro, che, sottolinea ancora Ordanini, “corrisponde più o meno alla metà del prezzo del biglietto di un concerto pop”) e la ripresa del segmento del ballo (285,7 milioni di euro la spesa al botteghino, il 2,1 % in più del 2005). Nel frattempo, quasi un terzo dei diritti maturati da autori e compositori musicali proviene da radio e televisione (153,4 milioni di euro, erano stati 121,6 nel 2005), aumentano in controtendenza al mercato generale i diritti connessi raccolti dai discografici attraverso la SCF (32,8 milioni di euro, + 20 % nel settore broadcasting e + 45 % nell’area dei pubblici esercizi) e cresce per il terzo anno consecutivo la spesa per strumenti musicali, fortemente correlata anche ai consumi discografici; i 350 milioni di euro incassati, + 4,4 % rispetto all’anno precedente, equivalgono tuttavia a una spesa pro capite inferiore ai 5 euro, un quarto degli Stati Uniti e quasi la metà della Germania.

Alla presentazione dei dati segue un dibattito, sollecitato da Ordanini e Stefano Baia Curioni, suo collega alla Bocconi: durante il quale Paolo Corsi (FEM) lamenta la netta contrazione degli investimenti destinabili agli artisti di “classe media” che non si autoproducono come i giovanissimi e che non sono ancora delle star, Gianluigi Chiodaroli (SCF) invita realisticamente a “aggregare le nostre debolezze per trasformarle in un punto di forza” e Antonio Monzino Jr. (Dismamusica) insiste sulla necessità di un’alfabetizzazione musicale del paese. Le conclusioni sono sconfortanti: l’industria, e il sedicente “sistema musica” non ha per ora nuovi modelli di business da proporre e risposte convincenti da offrire ai nuovi bisogni e desideri espressi dal consumatore, arroccandosi nella difesa di posizioni conservatrici e sempre più insostenibili.

I manager del settore, spiazzati dalla rivoluzione digitale e incapaci di interpretare il nuovo mercato, stanno abdicando al loro ruolo?

9 SETTIMANE E 1/2

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:


Una volta c'era un etichetta che si chiamava Totò alle prese con i dischi ora dovrei cambiare nome alla mia etichetta e chiamarla paolo alle prese coi tedeschi.

Vorrei, se l'editore di questo giornale o il curatore di questo sito sarà così cortese da darmene la possibilità, narrare a tutti gli appassionati di musica le incredibili avventure occorsemi nel tentativo di far stampare un disco.

Tutto è cominciato quando, un anno fa circa, ho deciso che dovevo trovare il coraggio di compiere il grande passo e rompere ogni indugio.

Era tempo, anzi l'ultimo tempo possibile, per lanciarsi nell'editoria musicale ed aprire una piccola etichetta indie dedicata alla buona musica.

Festeggerò tra pochi mesi i 30 anni dalla mia prima trasmissione radiofonica, tutti passati ascoltando e facendo ascoltare musica indipendente ed underground, ho prodotto in passato alcune antologie dedicate alla scena musicale della mia città e ora che tutti danno in estinzione non tanto il cd piuttosto del vinile bensì il concetto stesso che uno la musica la possa conservare, collezionare e magari riascoltare a distanza di anni, ora io decido di pubblicare musica perché ne rimanga memoria.

In principio ho cominciato con un progetto dedicato alla musica elettronica bresciana contemporanea , quasi a dare continuità a quelle antologie che fotografavano lo status qualitativo dell'arte in questa città , poi ho restaurato una cassetta edita nel 1987 che raccoglieva il meglio degli anni caldi allora appena terminati della new-wave e post-punk locale.

Per entrambe le cose mi sono limitato a fare una stampa masterizzata presso ditte specializzate per poi provvedere personalmente al packaging.

Nel selezionare il materiale elettronico mi ero imbattuto in una giovane ragazza di origine ungherese che univa ad una voce incantevole un mix musicale a mezzavia tra folk e sperimentazione elettronica; fu facile decidere che lei sarebbe stata la mia prima uscita "importante".

Alla DIGICON ag-de arrivai dopo vari preventivi consigliato da un amico che fa anche lui il discografico da alcuni anni e che pare stampi da loro senza avere avuto alcun tipo di problema ( gli auguro di non averne neppure in futuro, toccando ferro).

Il primo approccio fu cordiale e non mi stupì una discreta rigidità nella conoscenza della lingua inglese ( del resto il mio di inglese l'ho appreso nel sud di londra e farebbe impazzire ed inorridire qualsiasi insegnante madrelingua).

In quel momento mi trovavo ad avere qualche problema col grafico e dopo la fase preliminare confermando l'ordine chiesi se era possibile mettere in programma la stampa per un determinato giorno accorciando i tempi d'attesa previsti per la lavorazione.

Fu in quella fase che mi feci inviare le specifiche di stampa dei lucidi, quel materiale cioè che serviva al grafico per preparare le lastre di stampa.

La settimana successiva spedii per posta prioritaria lucidi e master del mio futuro cd ignorando che da lì sarebbe cominciata un epopea che ha messo il mio fragile equilibrio psichico a dura prova.

Avevo anche inviato una mail all'ufficio con cui avevo parlato chiedendo di essere avvertito dell'arrivo della merce.

Il giovedì mattino preoccupato per non avere ricevuto notizie a 4 giorni dalla mia spedizione telefonai. La prima sorpresa fu che Mr G. mi dicesse con estremo candore che il materiale era arrivato, la seconda che mi dicesse che la lavorazione non era ancora iniziata dato che non avevo ancora compilato il contratto, cosa che sottintendeva con mio enorme sbigottimento che la tempistica che pensavo d'aver concordato per la stampa non era mai stata recepita dal suddetto individuo e che avrei dovuto aspettare ancora due settimane lavorative prima di ricevere i dischi.

Riflettendo su cosa potessi avere sbagliato e/o su come fosse successo l'errore non riuscivo a non pensare che quell'uomo aveva avuto sulla scrivania la mia merce per due giorni e non si era minimamente preoccupato di telefonare per primo.

Bisogna anche aggiungere che negli uffici della Digicon sembra facciano pause molto lunghe e orari molto particolari, poiché stando al centralino risulta molto difficile trovare gli impiegati.

Solo il Lunedì della settimana successiva riuscii a trovare un fax per spedire il contratto e solo il martedì riuscii a parlare con Mr G. per avere conferma che fosse arrivato.

La settimana 3 comincia con vari tentativi di parlare con Mr G. tra cui uno in cui ebbi la netta sensazione che qualcuno riattaccasse il telefono dopo,forse, avermi riconosciuto e naturalmente altrettante mail di invito a contattarmi e/o aggiornarmi, e finisce con la scoperta che Mr G. è partito per le ferie e nessuno sa nulla del mio lavoro.

La quarta settimana sembra abbia trovato qualcuno non più reperibile ma sicuramente più disponibile ad interessarsi al mio caso umano se non che a metà settimana emerge un inquietante problema: per il computer tedesco il numero di Partita IVA da me fornito non corrisponde all'indirizzo ( ma in italia non v'è alcuna corrispondenza tra numero ed indirizzo/sede legale).

Vani i tentativi di far entrare il concetto nella germanica testa sono costretto a recuperare presso il locale ufficio Iva una carta attestante la mia posizione per poi inviarla al solerte funzionario: tempo necessario Un'altra settimana.

Nel corso della querelle specifico più volte anche per iscritto che loro sono in possesso di DUE distinti indirizzi, uno per la consegna ed uno come sede legale della ditta.

All'inizio della sesta settimana sembra sia tutto a posto se non per un piccolo trascurabile particolare : I tedeschi non stampano se prima non vedono i soldi.

Questo porta via una metà della settimana anche perché misteriosamente mentre il mio fax mi da una corretta conferma d'invio ( della ricevuta di versamento) il loro per ben due volte non riceve nulla ( misteri incomprensibili della tecnologia).

Il giovedì mi arriva un primo messaggio che mi chiede i File della copertina ( la stampa sopra il cd fisico), immediata e sbigottita la mia reazione. Voi avete i lucidi; sono forse sbagliati ? Perché questo errore non mi è stato comunicato al ricevimento della merce?

Non si tratta d'errore del grafico ma di nuove procedure di stampa; questa la risposta. Il problema non riguarda comunque la custodia ed il libretto che sono già in lavorazione

La settima settimana, ricevuto il file, ricevo un nuovo messaggio che riguarda confezione e libretto.

Esasperato impiego due giorni a riuscire a parlare con qualcuno. La prima versione è che stavolta si tratta di errore nella composizione della grafica ma alla richiesta di spiegazioni mi si dice che il procedimento di stampa avviene fuori dai loro stabilimenti e che loro non sono in grado di dare spiegazioni. Ormai fumante per la rabbia, unita al caldo dell'estate, esigo spiegazioni e quando sono sul punto di perdere il controllo, dopo che mi hanno inviato il numero di telefono della ditta che si occupa per loro della stampa grafica, pretendo a buon diritto che siano loro a raccogliere queste informazioni. A quel punto, forse per scusarsi, forse per soprassedere, ammettono che è stato un errore loro non comunicarmi che i nuovi standard produttivi automatizzano la stampa escludendo l'utilizzo di lastre e lucidi.

Come dire Te lo doveva dire Mr G., all'inizio, ma si vede che s'è sbagliato.

E' ormai l'ottava settimana, riesco ad ottenere una mail scritta che dice che i CD saranno spediti il Lunedì, avevo chiesto che per rimediare ai tanti errori facessero una spedizione espressa ma nella mail non se ne fa cenno.

Beh penso il sabato Angela Kinczly suonerà ad un importante manifestazione, anche con una spedizione normale in 4 o 5 giorni arriveranno.

Mi infilo sotto la doccia e lascio scivolar via calore e rabbia.

Il giovedì non arriva nulla ed immediatamente invio una mail e provo a telefonare.

Al telefono si negano con vari pretesti ma mi garantiscono una risposta scritta.

Che arriva in breve tempo ma dice solo che i pacchi sono stati spediti e arriveranno venerdi o lunedì.

Vano ogni tentativo di richiamarli per avere nome e numero di corriere e per far fare loro delle ricerche.

Naturalmente sarebbe troppo facile pensare che il lunedì successivo (settimana 9) io abbia ricevuto il tutto. Ci sono voluti ancora due giorni e qualche telefonata per appurare che la spedizione era stata fatta all'indirizzo legale della ditta ( quello che sostenevano non esistere) e non all'indirizzo di consegna che avevo specificato su tutti i documenti.

Naturalmente i cd erano arrivati già il venerdi ( anche se UPS garantisce le consegne internazionali in 3 giorni e quindi sono partiti il mercoledì e non lunedì come promessomi) e naturalmente noi abbiamo fatto il nostro importante concerto senza CD.

Sono state le 9 settimana più stressanti della mia vita non perché questa sia stata l'eperienza più devastante che abbia vissuto ma perché in ogni momento sembrava si fossero risolti i problemi e poi si ripiombava nell'incertezza.

Spero di non avervi annoiato con le mie disavventure e spero che alla fine della lettura vi venga la curiosità di ascoltare il lavoro di una artista che ha richiesto tanta fatica per venire alla luce.

Fra poco il disco di Angela Kinczly sarà disponibile anche nei negozi per ora potete accontentarvi di quello che troverete su Myspace a nome dell'artista o di Kandinsky records.

Adesso finalmente siamo in ballo e allora Let's dance


LIVE WIRE

Claudio Trotta non è mai stato tipo da peli sulla lingua. E ne ha ben diritto. Checchè se ne dica, infatti, si tratta di qualcuno che ha scritto la storia della musica dal vivo nel nostro Paese. Una storia che vive un epilogo sconcertante: cifre "dopate", trasparenza-zero sul numero dei biglietti venduti, omaggi selvaggi, magari in cambio della collaborazione dei mezzi di informazione. Una situazione inquietante. Questa lettera aperta è stata appena mandata dal boss della Barley Arts alle redazioni delle principali testate musicali e non.
Leggete.



Fra i tanti mali che la nostra grande azienda della musica sta vivendo ormai da troppo tempo due fattori stanno diventando veramente insopportabili e credo molto dannosi per l'intero mondo della musica popolare contemporanea. Sto parlando della mancanza di trasparenza nella comunicazione dei dati di vendita dei concerti e della distribuzione "selvaggia" di biglietti omaggio e d'ingressi di favore.
Partiamo dalla prima questione. C'è stato un tempo, neanche tanto lontano, quando la tanto vituperata classe dei discografici era sistematicamente impallinata dai media perché accusata di diffondere dati fasulli, parziali, gonfiati e così via sulle vendite dei dischi.
Come mai nessuno finora si è interessato a quelli sparati e diffusi con spregiudicatezza e totale mancanza di rispetto da molti produttori di musica dal vivo?
Tutti a dire che il live è ormai più importante della musica riprodotta su cd o digitale che sia, ma come mai - a scapito della correttezza dell'informazione e nonostante in quasi tutti i paesi occidentali i dati di vendita dei concerti vengano regolarmente diffusi (per chi è interessato basta leggere una rivista specializzata che si chiama Pollstar) - in Italia non si dà attenzione a questo aspetto e ci si limita a fare da amplificatori a tutto quello che noi produttori o i nostri capaci uffici stampa dicono o raccontano?
Un esempio veramente clamoroso di questo malcostume è testimoniato dalla pubblicità relativa a quello che si preannuncia indiscutibilmente come il tour più importante (in termini di successo di pubblico) del 2007, ma che evidentemente ha anche il dono quasi sovrannaturale di riuscire a far lievitare i numeri come nessun altro è mai stato capace di fare, forse neanche David Copperfield...
La pubblicità infatti annuncia 800.000 presenze per i 9 concerti "solo" di Vasco più la sua partecipazione (nel frattempo annullata) all'Heineken Jammin' Festival, mentre le capienze ufficiali degli stadi di Milano, Roma, Ancona, Latina, Bari, Messina e Torino sommate (ovviamente Milano e Roma correttamente due volte l'una visti i doppi "sold out") danno un totale di circa 460.000 biglietti dando per scontato, come annunciato, che i biglietti siano o saranno tutti venduti e/o regalati.
Se la matematica non è un'opinione, questo significa che per raggiungere la cifra di 800.000 presenze, all'Heineken Jammin' Festival si sarebbero dovute presentare 340.000 persone in uno spazio che mi risulta avere avuto una capienza legale di 120.000 persone... un po' difficile da credere o anche solo da immaginare....
Come produttore di musica dal vivo da quasi 30 anni, come co-produttore del concerto di Ligabue al Campovolo con il più alto numero di persone mai registrate in Europa per il concerto di un artista solo, non per un festival di cui l'artista è la star di maggior spicco, con 165.264 biglietti venduti, come produttore dei due ultimi tour negli stadi di Renato Zero e di tanti altri concerti di grande qualità, spesso di successo ma non necessariamente sempre premiati anche con la sufficiente quantità di pubblico, credo e chiedo che si debba fermare questa ingiustificata e non necessaria corsa al sensazionalismo e do la mia disponibilità a fornire sempre i dati reali a chi li voglia conoscere, a condizione che anche i miei colleghi lo facciano.
La seconda questione, che in certi casi è direttamente collegata alla prima, è la sciagurata diffusione di quantità enormi di biglietti omaggio, anche quasi un mese prima di un concerto, come testimonia la pubblicità apparsa martedì 12 giugno sul Corriere della Sera relativa alla data di Biagio Antonacci a San Siro il 30 giugno prossimo.
Ora, premesso che il documento delle regole e ruoli della nostra associazione di categoria "Assomusica" recita all'art 2.9 che: "Sono da intendersi aboliti, ad eccezione di quelli necessari per ospiti concordati tra promoter e produttore e di quelli di legge" e che quindi di fatto chi elargisce omaggi così visivamente non rispetta le regole della propria associazione di categoria, che rispetto dimostriamo verso il pubblico pagante in certi casi mesi prima del concerto, se a circa un mese da un concerto pubblicamente regaliamo 3600 biglietti?
Che valore e che dignità diamo ai nostri artisti, agli investimenti di tempo, energie e risorse economiche che facciamo tutti quanti?
Che fiducia in noi possiamo pretendere dal pubblico che paga il nostro lavoro?
Perché "drogare" la realtà? A chi fa gioco?
Siamo tutti professionisti, abbiamo la fortuna di lavorare con artisti italiani ed internazionali spesso straordinari, che il nostro dovere di produttori e promoter deve proteggere e alimentare nelle loro qualità artistiche con spettacoli di grande qualità e sostanza ma non credo che sia un nostro dovere ingigantire il loro ego, modificando la realtà da loro e da noi prodotta, bella o brutta che possa essere.
Se vogliamo bene alla nostra professione e alla musica, spendiamo magari più energie tutti insieme - produttori, promoter, artisti e media - per la ricerca, per lo sviluppo dei nuovi talenti, per la creazione di spazi costruiti per la nostra musica per non dovere utilizzare solo spazi creati per altre attività e concessi alla musica spesso malvolentieri, per l'approvazione finalmente di una legge sulla musica, per la promozione della musica italiana all'estero, invece che per mostrare i muscoli l'uno all'altro.

Cordiali saluti

Claudio Trotta
Barley Arts

COME VOLEVASI DIMOSTRARE !!!

Lo diceva anche Freak Antoni: non c'è gusto, in Italia, ad essere intelligenti.

E fu così che, come anticipatovi a suo tempo da PIMP VALLEY
(http://pimpvalley.blogspot.com/2007/05/awards-ad-personam.html)
i Wind Music Ad Personam Awards si rivelarono l'ennesima forma di inciucio all'italiana.

Del resto, la presenza di Rutelli sul palco poteva forse suggerirci qualcosa di diverso ?

La farsa, organizzata da Friends&Partners, è appena andata in onda su Italia 1, e la prima parte ha registrato una ragguardevole (di questi tempi...) audience di oltre due milioni e mezzo di persone. Fin qui, tutto bene.

Esaminando la lista dei premiati, ovvero:

Zucchero
Claudio Baglioni
Biagio Antonacci
Gigi D'Alessio
Tiziano Ferro
Nek
Antonello Venditti
Gianna Nannini
Elisa
Laura Pausini
Ligabue
Ennio Morricone

si nota però che - guarda caso - ben CINQUE dei dodici fortunati appartengono alla scuderia Friends&Partners !!!

Che coincidenza, vero ?

E gli altri sette ? Uno non si esibisce ormai da tempo, mentre i rimanenti lavorano con Milano Concerti (4), Barley Arts (1) e
Cose Di Musica (1).

Ma il peggio deve ancora venire.

Seppur apprezzatissimi da certi artisti (cui non viene richiesto di mettersi in competizione: ecco il loro principale problema...) i Wind Music Ad Personam Awards sono stati bersaglio di critiche asprissime da parte degli addetti ai lavori. Eppure sono destinati a continuare.

Apparentemente insensibile agli attacchi che gli sono piovuti addosso, infatti, l’organizzatore Ferdinando Salzano pensa già all’edizione dell’anno prossimo. Parafrasando Michael Douglas in Wall Street: il motore del mondo, per alcuni, è sicuramente l'avidità.

Pensiamo. Possibile che in un Paese civile l'organizzatore di un Music Award sia contemporaneamente l'agenzia di booking della metà degli artisti premiati ?

E intanto l'Industria resta a guardare.

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POST SCRIPTUM PER IL MINISTRO RUTELLI
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Ministro Rutelli, non era forse stato questo Governo a dichiarare di voler risolvere urgentemente il problema del conflitto di interessi ?
Bene.
E allora ci dica:

COSA CI FACEVA LEI SU QUEL PALCO ?

INDIE-TRO TUTTA !!!

C'è uno strano preconcetto nell'universo discografico. La credenza comune è che le majors siano l'origine di ogni male, e le indies l'isola felice in cui rifugiarsi onde prosperare, magari più lentamente ma senza compromessi, evitando di essere sedotti e abbandonati da un'industria senza coscienza nè direzione.

L'esperienza ci insegna, in effetti, a diffidare delle majors. Leggere i loro contratti può diventare un'esperienza surreale. E non comprenderne le implicazioni risulta spesso fatale. Avete mai sentito parlare di costi recuperabili ? Di "collateralizzazione incrociata" ? Di deduzioni sul "packaging" dei files digitali ? Di three-quarter rates ? Presto su questo blog terremo un corso accelerato su tutte queste meravigliose clausole, spiegando a tutti come e perchè da poche insulse righe possa dipendere la vita o la morte di un artista, discograficamente parlando. Per ora, invece, ci limiteremo a sfatare la credenza comune. Perchè, che vi sembri strano o meno, nel mondo delle nostre indies c'è gente che non si accontenta di obbligare gli artisti a sottoscrivere accordi particolarmente penalizzanti. Nel mondo delle indies, infatti, succede anche di peggio.

Qualche mese or sono ci è capitato tra le mani un "contratto di distribuzione" di una tra le realtà indipendenti che godono di maggior credito nel nostro panorama: la Compagnia Nuove Indye. Sul loro sito si definiscono così: "La nostra compagnia ha iniziato la sua attività nel 1992 nella produzione - promozione e distribuzione di prodotti discografici e circuitazione di spettacoli musicali. Fin dall'inizio il nostro obiettivo è stato il recupero di quei valori delle tradizioni culturali presenti su tutto il territorio del nostro paese, che erano rimaste soffocate e svilite dal massiccio bombardamento dei mezzi di comunicazione, pilotati da culture dominanti e da multinazionali". Molto nobile ed etico. Infatti, alla loro scuderia appartengono artisti con una credibilità inattaccabile: Alibia, Agricantus, Banda Osiris, Almamegretta, Denovo, John Trudell, Nidi D'Arac, addirittura Ennio Morricone. La CNI fa parte del PMI, l'organo istituzionale che rappresenta le principali indies italiane. Ammettiamolo: un posizionamento invidiabile, e una longevità sorprendente.

Certo, le cose diventano molto meno sorprendenti leggendo il contratto a noi pervenuto, per gentile concessione di un lettore che desidera restare anonimo. E noi rispetteremo questo suo desiderio.

Anzitutto è bene partire dalla tipologia. L'intestazione dice "contratto di distribuzione in conto vendita". Molto specifico. Un simile contratto non prevede obblighi da parte del "distributore", se non quello, per l'appunto, di distribuire un prodotto. Niente copertura spese o anticipi o contributi agli artisti, quindi, lasciando però loro la proprietà delle registrazioni. Scelta condivisibile. In cambio, CNI chiede agli artisti una quota fissa per ogni cd venduto, pari a 4 € a copia.

Che cosa significa ? Si tratta di un distributore che chiede in cambio non una percentuale sui guadagni - come sarebbe corretto, visto che nella discografia regolare la ripartizione viene calcolata in percentuale sul prezzo praticato al rivenditore, ovvero il PPD, al netto degli sconti - ma una quota fissa. Cosa che può avere conseguenze davvero spiacevoli.

Vi facciamo un esempio pratico. Diciamo che un artista accetti di distribuire a queste condizioni, e voglia uscire sul mercato con un prodotto al prezzo al pubblico di 14 €. In teoria, per ogni copia venduta, dovrebbe darne 4 a CNI. Il PPD lordo per un prodotto venduto a 14 € si aggira all'incirca sugli 8,70 €. Togliendo gli sconti classici praticati ai negozianti (15-20% circa: diciamo 15%), il PPD netto è 7,40. All'artista spettano quindi 3,40 €, ovvero poco meno di quanto spetti a CNI. Di solito, invece, un distributore trattiene circa il 30-35% del PPD netto, quindi l'artista dovrebbe guadagnare all'incirca il doppio del distributore.

E poi, naturalmente, bisognerà sottrarre l'IVA alle singole quote. Quindi queste cifre vanno ridotte ancora del 20%.

Lo scenario appare già di per sè abbastanza inquietante ? Ancora non avete letto nulla. Perchè leggendo più in basso, troviamo qualcosa di ancora più sconcertante. Infatti, nella sezione "Promozione Punti Vendita" il distributore "si impegna ad inserire il prodotto in oggetto nel proprio catalogo e nel sito www.cnimusic.it e ad effettuare una promozione sui punti vendita", però "a fronte di tale impegno" l'artista "dovrà corrispondere Euro 8.000,00 + IVA al distributore". Traduzione: se volete distribuire dovete cacciare il grano. Perchè ? Per promuovere il vostro disco nei negozi. Ma scusate, non è uno dei compiti del distributore ?

E vabbè: sono tempi duri per tutti. Ammettiamo allora che l'artista accetti di dare a CNI questo contributo. Ma per che cosa esattamente vengono spesi questi 8000 €, sedici milioni delle vecchie lire, più IVA ? Il contratto non lo specifica. Perciò il nostro informatore ha telefonato a CNI per chiedere delucidazioni: scusate, potreste dirmi esattamente a cosa vi serva questo (mio) denaro ? La risposta, gentile ma ferma, ha dello sconcertante: un semplicissimo NO. Non vogliono dirlo. Bisogna dar loro i soldi, e basta.

Vogliamo fare ancora due conti ? L'artista versa 8000 € + IVA a fondo - e motivo - perduto. Ovvero: è già in perdita prima di cominciare. Se recupera 3,40 € a copia venduta, questo significa che ci vogliono poco più di 2800 dischi venduti per andare in pari. Una cifra considerevole. Se consideriamo poi le spese per fare un pò di marketing, realizzare un video, stampare i cd, è facile che questa soglia si alzi oltre le 4-5000 unità vendute. Tanto quanto certi dischi che entrano nei primi 100 più venduti della classifica FIMI/Nielsen.

Aggiungiamo che il contratto prevede l'esclusiva distributiva per tutto il mondo. La prerogativa di un distributore, però, è quella di operare sul mercato locale. E' chi investe in licenze o in acquisizioni, per esempio una major o un'etichetta (e non un distributore "in conto vendita"), che di norma richiede questo tipo di esclusiva. Oppure chi può dimostrare di possedere una rete di vendita all'estero. Stando così le cose, a che scopo togliere all'artista la libertà di muoversi autonomamente sui mercati esteri ? Il master resta di sua proprietà, ma non può gestirlo per l'intera durata del contratto, in nessun Paese del mondo.

Corollario: siamo proprio sicuri che firmare un contratto "di distribuzione in conto vendita" con una compagnia come CNI conceda agli artisti più libertà di azione e sia più remunerativo rispetto a quanto succederebbe sottoscrivendo un accordo con una major ? Ne riparleremo. Ma una cosa è certa: i burosauri, quando si sgranchiscono, fanno almeno il gesto di contribuire al minimo indispensabile per avviare un progetto. Oppure, nel peggiore dei casi, si limitano a svolgere il loro dovere senza spendere un euro. Non sono ancora arrivati al punto di chiedere contributi agli artisti a fondo perduto e senza rendere conto del loro impiego.

Ma sapete com'è: si dice anche che i baldi giovini delle indipendenti precorrano i tempi. Che siano "avanti".

C'è quasi da sperare che lo siano un pò troppo.

AWARDS AD PERSONAM

Sembrerebbero confermati gli appuntamenti chiave della “Settimana della Musica” che l’agenzia Friends&Partners di Ferdinando Salzano (alias il Ricucci del music business) organizzerà tra l’8 e il 15 giugno prossimi in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali, la Provincia di Roma e il Comune di Milano.

Perciò il prossimo 6 giugno, all’Auditorium Conciliazione di Roma, si partirà con una serata ad effetto intitolata ai presunti “Music Awards”. Serata che - quattro giorni dopo - sarà trasmessa su Italia 1. Non vediamo già l'ora...

Il Music Award verrà presentato da Ambra Angiolini ed Enrico Ruggeri. Nell’occasione verranno premiati i dischi che - nel periodo compreso tra il gennaio 2006 e il maggio 2007 - hanno conseguito vendite superiori alle 150 mila copie.

Insomma, i soliti noti. Del resto, sono degli Awards...

Ma il trucco ? Ovviamente c'è, ed è davvero notevole. Perchè la certificazione del venduto, infatti, non sarà di competenza di arbitri super partes. Per determinare quali siano stati gli artisti capaci di raggiungere tale soglia nell'arco di tempo illustrato (ma basteranno per riempire un intero programma televisivo ?) si ricorrerà quindi a un geniale e inconfutabile metodo: l'AUTOCERTIFICAZIONE.

Ma come ???

Naturalmente la cosa suscita numerose perplessità. Perciò qui ci voleva un colpo di genio. E difatti, "a scanso di equivoci", nessuna delle tre principali organizzazioni di categoria dei discografici (FIMI, AFI e PMI) è stata coinvolta a qualche titolo nell’organizzazione dell'evento ! Insomma, i nostri singolari Music Awards non sono certificati dall'industria, perciò nessuno potrà influenzarne l'esito...

...eccetto Friends & Partners, ovviamente.

A livello ufficiale sembra proprio che l'industria del disco sia stata tagliata fuori. Insomma, per una volta tutti gli animali sono uguali ? Solo sulla carta. Perchè a conti fatti, invece, certi animali sono sempre più uguali degli altri.

Dice il presidente FIMI, Enzo Mazza, “Noi siamo stati informati da parte dell’organizzazione, ma ci teniamo a sottolineare una volta di più che questi non sono gli Italian Music Awards promossi dall’industria. Detto questo, e nel momento in cui persiste una totale disattenzione istituzionale nei confronti del nostro settore, un evento-vetrina che presenta al pubblico i gioielli della musica italiana è il benvenuto." Ma l'autocertificazione ? "Date le dimensioni del mercato, la soglia delle 150 mila copie dovrebbe mettere al riparo da imbarazzi e sorprese”, chiosa Mazza.

La FIMI, insomma, nasconde la mano ma sostanzialmente dà il proprio beneplacito. Si affretta a distinguere tra gli Italian Music Awards "dell'industria" e i Music Awards di Friends & Partners, ma persino l'utilizzo di un brand praticamente identico a quello lanciato, in maniera assai fallimentare, dalla FIMI stessa non sembra destare in Mazza alcuna preoccupazione.

Ed è logico che non se ne preoccupi, dal momento che gli artisti che saranno premiati sono nella stragrande maggioranza sotto contratto con etichette rappresentate dalla FIMI. Sarà per questo che proprio la FIMI sia stata l'UNICA associazione di categoria a essere stata contattata da Friends&Partners ? Chissà.

Ma cosa ne pensano le altre ? Sentiamo i loro commenti:

Luigi Barion, presidente AFI: “Mi sembra assurdo che nessuno ci abbia reso partecipi della cosa, considerando anche il fatto che da alcuni anni le associazioni si muovono di comune accordo su tutte le iniziative più importanti. Mi sembra che gli organizzatori siano partiti col piede sbagliato”.

Mario Limongelli, presidente di PMI: “Premesso che tutte le grandi manifestazioni a carattere musicale sono gradite e benvenute, per noi gli Awards restano un’altra cosa, e mi spiace che se ne strumentalizzi il nome senza che siano stati predisposti gli opportuni meccanismi di tutela e certificazione, academy e quant’altro: con tutto il rispetto per chi la fa, l’autocertificazione delle vendite lascia il tempo che trova, ed è brutto e antipatico ricorrere a metodi del genere”.

Nessuno, però, sembra notare la cosa più importante: ovvero che Friends & Partners, in quanto management e booking agent di numerosi artisti italiani, si trovi in una posizione di chiaro conflitto di interessi, essendo allo stesso tempo organizzatore e potenziale beneficiario dell'evento.

In questo Paese a pensar male ci si azzecca al 99%. Per puro scrupolo, vogliamo comunque fare una verifica ? D'accordo. Allora vi elenchiamo qui sotto il nutrito cast artistico della Friends & Partners:

Biagio Antonacci
Luca Carboni
Cesare Cremonini
Elisa
Claudio Baglioni
Riccardo Cocciante
Alex Britti
Niccolò Fabi
Pino Daniele
Neffa
Gianluca Grignani
Antonello Venditti
Fiorella Mannoia
Raf
Francesco De Gregori
Zucchero
Neffa
Francesco Renga

Vogliamo vedere quanti di questi artisti si autoassegneranno un bel Music Award ?
E di quanto varierà il loro cachet, una volta ritirato il "premio" in televisione ?

Nelle parole di un compianto caposaldo della storia della musica italiana: chi vivrà vedrà.

Non perdetevi le prossime puntate di Musicopoli !

FREE MUSIC

La musica su Internet continua ad essere consumata gratis dal pubblico, a dispetto degli sforzi di iTunes e delle majors discografiche e del presunto "calo" del file sharing.

Inutile dirvi che LO SAPEVAMO.

Ma c'è di più. L’ultimo bollettino di previsione redatto dagli specialisti di Jupiter Research (intitolato “European content, services, and activity forecast 2006 to 2011: Understanding the impact of free”) sembra lasciare pochi dubbi: da qui al 2011 l’incidenza dei servizi a pagamento sui consumi totali di Internet diminuirà, invece di aumentare.

I motivi sono presto detti:

1) Nonostante l’ampliamento dell’offerta e la migliorata qualità dei servizi, il pubblico lamenta ancora la relativa limitatezza dei cataloghi disponibili in Rete;

2) La qualità audio di un mp3 è comunque inferiore a quella dei cd;

3) Il pubblico non comprende, nè accetta i problemi legati alla “interoperabilità” tra sistemi e mezzi di riproduzione tra loro incompatibili.

Secondo Jupiter, i servizi a pagamento resteranno confinati a un mercato di nicchia, con la musica ancora in posizione di leadership in termini di fatturato: il mercato della musica digitale, infatti, varrà circa 1,4 miliardi di euro nel 2011.

Spiega Mark Mulligan, vice presidente di Jupiter: “La rete rimane un medium prevalentemente gratuito e finanziato dalla pubblicità”. Di conseguenza “i detentori dei contenuti hanno chiaramente bisogno di trovare il modo di partecipare alla spartizione degli introiti pubblicitari per contrastare i modesti incassi che realizzano direttamente on-line e raggiungere il pubblico più elusivo e non pagante, che è tipicamente quello di più giovane età”.

Già, perchè è proprio la fascia d'età che storicamente rappresenta il traino principale del mercato quella sulla quale le case discografiche, in termini di vendita, stanno ottenendo risultati pari a zero.

Per quasi un secolo abbiamo considerato la musica come un "prodotto". Visti questi segnali, non sarebbe ora di ribaltare questa concezione e di rimodellare un business basato piuttosto sulla musica come "servizio" ?

Prima che sia troppo tardi e diventi addirittura invendibile ?

CORNUTI E MAZZIATI

I concorsi, questi sconosciuti.

Decine - ma che dico, CENTINAIA - di artisti, quando sottopongono il loro materiale alle etichette discografiche, ostentano orgogliosamente nella loro bio la vittoria al concorso Axe For Music o la semifinale delle selezioni dell'Heineken Jammin Contest, per non dire di quanti dichiarano di essere stati "i primi degli esclusi" alle selezioni per Castrocaro, Musicultura e persino Sanremo.

Francamente non riesco a capire la fascinazione del tutto nostrana verso i concorsi. Sarà forse a causa dell'influenza della tv contemporanea, che promette celebrità facile a fronte di scarso lavoro e scarsissimo talento. Oppure sarà semplicemente che da noi i concorsi e le gare sono sempre andati di moda. Ovviamente per favorire tutti, tranne gli artisti.

I vecchi lupi di mare dello show-business hanno capito molto bene questo andazzo. Ad esempio, pur di partecipare a un reality un imberbe sconosciuto utilizzerà in molti casi vari tipi di professionisti: fotografi, stylists, agenti e così via. Tutta gente che nella stragrande maggioranza dei casi si assicura lauti guadagni ben prima che gli sconosciuti diventino famosi.

Nel music business cambia la forma, ma la sostanza è la stessa. Attorno ai concorsi si aggirano intere specie di imbonitori e truffatori. Si qualificano come "produttori", "discografici" o più genericamente come "impresari". Si presentano generalmente con una certa enfasi. Si riempiono la bocca di conoscenze e si vantano di collaborazioni altisonanti. Sostengono di poter dare una svolta alla vostra carriera, di poter migliorare la vostra vita. Ma nella stragrande maggioranza dei casi miglioreranno solo la loro.

Per questi personaggi i concorsi sono terra di conquista. Si avvicinano gli artisti dopo averli visti esibirsi, e la loro strategia si articola in due fasi: elogiare e promettere. Sembrano proprio dei veri amiconi. Dicono di avere amici "nell'ambiente": in discografia, tra i media. Ottenere autografi su contratti impossibili in cambio di aria fritta è la loro specialità.

Occorre controllare sempre di chi si tratta. Anche quando è un vero professionista bisogna metterlo alla prova. Porgli domande, chiamarlo al confronto. Per firmare un contratto occorre fiducia reciproca. Facendo domande si desidera solo essere rassicurati su quella fiducia. E' normale e perfettamente legittimo.

Purtroppo gli artisti si lasciano elogiare e conquistare dalle promesse con grande facilità. Per questo cadono in questo genere di tranelli sin troppo spesso, anche se un recente sondaggio di Libero sembra testimoniare una maggior consapevolezza da parte degli addetti ai lavori.

Curiosamente, questo sondaggio ci rivela anche che il 50% delle persone a cui è stato chiesto cosa pensassero dei concorsi musicali ha risposto: "sono una truffa".

Ma perchè ?
Come vengono raggirati gli artisti in queste manifestazioni ?

Mi duole dirvi che le maniere sono praticamente infinite. Certi faccendieri sono talmente bravi da poter ricavare soldi dalla vostra attività a vostra insaputa e senza ipoteticamente crearvi un danno. In pratica, sono molto semplicemente degli arraffoni.

Prendiamo ad esempio una specie molto diffusa: gli arraffoni-camaleonte. Sono molto comuni tra tutte quelle aziende che organizzano concorsi mettendo in palio premi come la registrazione di un disco, l'esibizione ad un festival, la realizzazione di un videoclip, l'assunzione di un ufficio stampa, e quant'altro. Apparentemente, una pacchia. Guardiamo questi benefattori che ci danno l'opportunità di suonare davanti a migliaia di persone o di incidere l'agognato cd, e per noi sono come degli eroi. Dei filantropi.

Si, certo.

Confidando nell'ignoranza generale che regna sul settore, questi mecenati senza portafoglio convincono svariate categorie di finanziatori (amministrazioni comunali, province, regioni, fondazioni, grandi aziende) a farsi assegnare lauti budgets, per poi risparmiare il più possibile sui "premi" promessi agli artisti. E certe volte dei premi non si vede neppure l'ombra. In fondo i piccoli artisti che possono fare ? Andare dall'avvocato ? Dal canto loro i finanziatori, una volta ottenuta la loro bella pubblicità e rinfrescata l'immagine, se ne lavano regolarmente le mani. E gli organizzatori la fanno tranquillamente franca.

Ci sono altre preoccupanti categorie. Menzionarle tutte è impresa ardua. Oggi però voglio parlarvi di quella particolare categoria di arraffoni che non si accontentano di ingannare gli artisti. Persone che per iscrivere gli artisti ad un concorso pretendono addirittura di APPROPRIARSI della loro musica.

Ho incollato qui sotto una mail di un concorso indetto da BACKLINE COMMUNITY. Leggetela bene. Ad un certo punto dice molto candidamente:

"Il materiale non sarà restituito e resterà di proprietà della Backline
SURL che lo utilizzerà liberamente come meglio riterrà opportuno per
le finalità proprie del concorso e delle relative applicazioni
commerciali."

Il che, secondo il mio legale, significa che possono disporre di tale materiale a proprio piacimento, in perpetuo, e soprattutto SENZA RICONOSCERE AI REALI TITOLARI DEI DIRITTI, ovvero agli artisti, ALCUN COMPENSO.

E per perpetrare questo furto, hanno persino l'ardire di farsi pagare 150 € come "quota d'iscrizione" !

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CONCORSO "THE BEST LIVE SET" - IN PALIO ABLETON SAMPLER

Ableton è orgogliosa di presentare la prima di una serie di iniziative
legate alla Community Backline per gli utenti della community e non
solo.

Inviate il vostro Live Set come Live 6 Live Pack. Se siete gia´
iscritti alla Community Backline, in palio 1 Ableton Sampler, lo
strumento addizionale di Live 6, che permette di gestire ed editare la
libreria di campioni per la produzione o le performance dal vivo.
Tutti coloro che non sono utenti della Community Backline, portranno
vincere 1 accesso alla community e quindi il richiestissimo manuale
in italiano.

Dal primo Maggio 2007 fino al 30 Giugno 2007 potrete inviare il vostro
Live Set. Per farlo andate sulla community

http://www.backlinecommunity.it/tbl/

La dimensione del Live Set non deve essere superiore a 20MB.

Qui sotto le istruzioni per creare il Live Pack:
Per inviare il Live Set dovete exportalo come Live Pack, seguendo
questa procedura eseguire "Collect and Save" dal Menu file in Live 6
e salvare il progetto con tutte le clips e samples utilizzati;
successivamente entrare in "Manage Files..." sempre dal Menu file e
richiamare la funzione "Manage Project" e nella sezione "Packing"
eseguire il comando "Create Live Pack".

Il materiale non sarà restituito e resterà di proprietà della Backline
SURL che lo utilizzerà liberamente come meglio riterrà opportuno per
le finalità proprie del concorso e delle relative applicazioni
commerciali.

Per informazioni visitate il sito www.backlinecommunity.it/ableton o
inviate un e-mail a support@backlinecommunity.it

Claudia Weidner
Ableton

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Uomo avvisato, mezzo salvato.

Continueremo a rendere pubbliche tutte le amenità che ci saranno segnalate.

Nel frattempo, per evitare di far sapere ai discografici che vi siete fatti rubare i soldi prima ancora di iniziare una vera e propria carriera, perchè non togliere le menzioni ai concorsi dalle vostre biografie ?

Non è una buona idea incoraggiarli...

L'ANTIDOTO

Le battaglie che circondano la condivisione di files su reti peer-to-peer sono un pessimo affare per tutti.

Le etichette discografiche continuano a registrare vendite inferiori alle loro aspettative, mentre decine di milioni di amanti della musica vengono fatti sentire come se fossero dei criminali. I danni sono molteplici: innovazione ostacolata, diversità limitata, crescita economica inesistente. E lo stesso si può dire anche per gli artisti: la campagna legale contro i "pirati", infatti, non ha portato un solo centesimo nelle loro tasche.

E' tempo di studiare qualcosa di diverso.


FATTI

Per prima cosa, gli artisti e chi detiene i diritti sulla musica meritano di essere giustamente ricompensati.

Secondo: il file sharing è una realtà imprescindibile. Aver chiuso Napster ha portato alla diffusione di reti decentralizzate. Il file sharing e i darknets sono oggi ben più popolari di quanto lo fossero prima che cominciassero i processi contro gli scambisti.

Terzo: i fans riescono a diffondere la musica meglio delle case discografiche. iTunes offre un catalogo di 3 milioni di canzoni. Sembra un bel numero se non si considera che i fans hanno reso disponibile DECINE di milioni di canzoni solo su Kazaa o Limewire. Se gli ostacoli legali svanissero è probabile che le reti P2P migliorerebbero considerevolmente la distribuzione della musica.

Quarto: ogni soluzione dovrebbe minimizzare l'intervento del governo a favore delle forze di mercato. Se possibile.


LA PROPOSTA

L'EFF ha passato il 2006 a cercare delle alternative per fare in modo che gli artisti possano essere pagati e allo stesso tempo P2P diventare legale. Una soluzione sembra sia emersa: ovvero le licenze collettive volontarie.

Il concetto è semplice. L'industria musicale crea una formula che offre al file sharing l'opportunità della legalità in cambio di un pagamento da parte degli utenti di una regolare tassa: diciamo, a titolo di esempio, di 5€ al mese. Per tutto il tempo che pagheranno gli appassionati saranno liberi di fare quello che stanno già facendo: ovvero condividere la musica che amano, usando qualsiasi software desiderino, su qualsiasi piattaforma, senza alcun timore di problemi legali.

I soldi raccolti verrebbero quindi divisi tra i proprietari dei diritti, a seconda della popolarità della loro musica.

In cambio gli appassionati di musica su reti P2P saranno liberi di scaricare qualsiasi cosa vogliano, usando qualsiasi software si adatti meglio alle loro esigenze. Più persone useranno il file sharing, più soldi entreranno nelle casse di chi possiede i diritti. Più competizione ci sarà tra le applicazioni, più velocemente procederanno l'innovazione ed i miglioramenti. Maggiore sarà la libertà dei fans di pubblicare ciò che li interessa, più dettagliato e ricco diventerà il catalogo del materiale disponibile in Rete. Insomma, ne guadagnerebbero tutti.


CORSI E RICORSI

Vi sembra utopia ? Allora stupitevi: è già successo.

Creare volontariamente società di raccolta come successe negli USA per ASCAP, BMI e SESAC fu il modo per gli artisti di regolamentare la diffusione via radio nella difficile situazione venutasi a creare in relazione al diritto d'autore nella prima metà del ventesimo secolo.

All'inizio gli artisti vedevano la radio esattamente allo stesso modo in cui oggi i discografici considerano eMule. Dopo aver complottato per cancellarne l'esistenza, i musicisti si unirono a formare una società di tutela e collecting dei propri diritti, l'ASCAP (e quindi altre due: la BMI e la SESAC). Le stazioni radio aumentarono, pagarono una tassa ed in cambio cominciarono a trasmettere tutta la musica che volevano. Oggi l'ASCAP e la BMI raccolgono e pagano centinaia di milioni di dollari ogni anno agli artisti.

Gli esperti di Copyright affermano che questo sistema si fondi su una LICENZA COLLETTIVA VOLONTARIA.

Lo stesso potrebbe accadere oggi per il file sharing: coloro che detengono i diritti sulla musica potrebbero associarsi per offrirla in modalità e forme semplici da pagare, ad esempio attraverso una soluzione all-inclusive: paghi una tassa e scarichi dove e come vuoi.

Soluzione peraltro adottabile senza cambiare alcuna legge, e con il minimo intervento governativo.


FACCIAMO I CONTI

Supponiamo che anche soltanto 5 milioni di Italiani accettino di essre "tassati" tramite questo nuovo sistema.

Se la tassa fosse, ad esempio, di 5 € al mese si genererebbero 300 milioni di € di profitto puro ogni anno per l'industria musicale italiana: ovvero più di quanto attualmente incassi. E questo senza contare la vendita di CD e DVD, nessun rivenditore online che si intrometta nel guadagno, nessuna bustarella alle radio o spesa esorbitante per andare al festival di Sanremo o per fare un video. Puro guadagno lordo. Una garanzia di stabilità, un'ancora di salvezza. Un flusso di denaro in entrata che continua a fluire in maniera semplice finché gli appassionati vorranno scaricare musica da Internet.

In un simile sistema simbiotico, la torta crescerà col crescere della condivisione di musica, invece di rimpicciolirsi. Un regime di licenza collettiva è forse l'unico che può inoltre promettere profitti annui relativamente stabili per le etichette - qualcosa che al momento sembra loro impossibile realizzare.

Ma come convincere la gente a pagare ? Ed è qui che entra in gioco il mercato.

Coloro che oggi sono sotto minaccia della legge saranno ampiamente incentivati a scegliere di versare una piccola somma mensile. Ci potrebbero essere diverse modalità di pagamento. Alcuni appassionati potrebbero acquistare la licenza direttamente dal web, gli ISP potrebbero includere la quota nel prezzo dei loro servizi di larga banda per i clienti che sono interessati a scaricare musica, e via discorrendo. Certamente ai service providers farebbe molto comodo avere la possibilità di pubblicizzare una connessione a larga banda che comprenda downloads illimitati, di tutta la musica che si vuole. Il recente caso-Wind sulle suonerie lo dimostra ampiamente.

Chi vende software P2P potrebbe invece includere questa quota in una soluzione di abbonamento particolare per il loro software, il quale rimuoverebbe chiaramente la nube dell'incertezza legale che ha inibito l'investimento nel campo del software P2P.

Il denaro raccolto verrebbe poi diviso tra gli artisti ed i proprietari dei diritti basandosi sulla popolarità relativa della loro musica. Si può comprendere facilmente ciò che è popolare attraverso un mix di servizi di monitoraggio anonimi sui file che le persone condividono (compagnie come Big Champagne e BayTSP lo stanno già facendo da tempo negli USA).

Questi servizi sono molto più accurati ed affidabili di quanto i sondaggi Nielsen, o il Soundscan, non saranno mai in grado di esserlo, giacchè testimoniano di un traffico REALE e non basato su campioni o rilevazioni facilmente alterabili.


VANTAGGI

I vantaggi di questo approccio sono chiari.

Anzitutto, con grande sollievo generale, gli artisti e i detentori del copyright verrebbero pagati. Non solo: più si diffonderanno le connessioni a larga banda, più queste persone verranno pagate. Il che significa che la potente lobby dell'industria dell'intrattenimento si schiererà per una Internet grande, aperta ed innovativa, invece che cercare di restringerla e omologarla come fa attualmente.

L'intervento del governo va tenuto al minimo. La legge sul copyright non deve essere modificata, e la società di raccolta impone i propri prezzi. Allo stesso tempo il mercato manterrà il prezzo ragionevole: le società di raccolta fanno più soldi con un prezzo accattivante ed un grande numero di abbonati, piuttosto che con un prezzo più alto e costosi sforzi di applicazione.

Lo sviluppo della banda larga riceve un incremento enorme poiché la cosiddetta 'killer application' - cioè lo scambio di musica - viene resa legittima.

Molti soldi verrebbero versati in investimenti nell'oramai legittimo mercato dei software e dei servizi connessi allo scambio di musica digitale. Piuttosto che essere limitati ad una manciata di servizi autorizzati come iTunes o Napster To Go si avrebbe un mercato pieno di applicazioni: immaginate file sharing e servizi ausiliari in competizione tra loro... Se saranno gli utenti ad acquistare licenze, le compagnie tecnologiche potranno smettere di preoccuparsi dell'incomprensibile (per loro) labirinto del copyright e concentrarsi a fornire agli appassionati i prodotti ed i servizi più attraenti in un mercato altamente competitivo.

Gli appassionati di musica avrebbero un accesso legale a quell'offerta senza limiti di musica che le reti di file sharing hanno sempre fornito, sin dai tempi di Napster. Eliminata la preoccupazione di vertenze legali queste reti miglioreranno rapidamente.

I colli di bottiglia nella distribuzione che hanno limitato le opportunità agli artisti indipendenti saranno eliminati. Gli artisti possono scegliere qualsiasi strada per raggiungere la popolarità online, compresi, ma non più limitati a, contratti con una delle etichette major. Finché le loro canzoni saranno scambiate tra i fan, infatti, verranno pagati.

Il pagamento lo effettueranno solo coloro che sono interessati a scaricare musica, e soltanto per tutto il tempo in cui vorranno farlo.

Ma, all'atto pratico, questo sistema come può aiutare gli artisti ? In almeno tre modi:

1) Gli artisti saranno pagati per il file sharing.

2) Gli artisti indipendenti non avranno più bisogno di registrazioni con una etichetta maggiore per raggiungere un grande numero di potenziali fans - finché hanno dei fans che condividono la loro musica online, le persone saranno in grado di accedere alla loro musica allo stesso modo in cui accedono ai contenuti di una etichetta discografica maggiore. In altre parole, la distribuzione digitale sarà equamente disponibile per tutti gli artisti.

3) Per quanto riguarda la promozione, gli artisti potranno usare ogni meccanismo che vorranno, piuttosto di dover contare sulle etichette maggiori per ottenere la riproduzione in radio. Qualsiasi cosa che rende popolare i propri lavori tra gli scambisti online procurerà loro un guadagno. L'industria discografica avrebbe ancora un ruolo - molti artisti vorranno ancora ricevere aiuto per la promozione, sviluppo del loro talento ed altri servizi di supporto. Avendo gli artisti più opzioni tra cui scegliere, i contratti saranno più bilanciati di quelli offerti oggi alla maggior parte degli artisti.


UN CASO DA ANTITRUST ?

Poiché una soluzione di licenza collettiva si baserà su una singola società di raccolta responsabile delle licenze globali riguardanti tutti ( o quasi tutti ) i diritti musicali, ci sarà bisogno di una regolamentazione antitrust della società di raccolta per assicurare che non abusi del suo potere di mercato. La SIAE non ci rassicura molto al riguardo, ad esempio...

Non occorre che questa regolamentazione sia molto vasta, poiché la società di raccolta essenzialmente venderà solo un singolo prodotto ad un singolo prezzo a tutti coloro che si presenteranno. I regolatori dovranno essere molto attenti a fare in modo che la società di raccolta tratti equamente artisti e detentori dei diritti, la maggior parte dei quali conterà sulla società di raccolta per il proprio compenso.

Come si assicura un'accurata divisione del denaro? La trasparenza è critica. Idealmente la società di raccolta dovrebbe tenere i suoi registri aperti ad artisti , detentori di diritti e pubblico per qualsiasi esame. Magari pubblicandoli on-line. L'ente dovrebbe essere no-profit e sforzarsi di tenere al minimo i propri costi amministrativi. Ci sono già esempi di simili società di raccolta nell'industria musicale all'estero: ASCAP, SoundExchange... Si dovrebbe imparare, e migliorare, dal loro esempio. Dare agli artisti una voce in capitolo e un accesso maggiori dovrebbe aiutare a fugare le loro preoccupazioni circa le attuali società di collecting.

Per quanto riguarda la comprensione della reale popolarità relativa c'è bisogno di trovare un giusto equilibrio tra il desiderio di avere una perfetta accuratezza 'stile censimento' con il bisogno di preservare la privacy. Un sistema basato sul campionamento raggiunge un buon compromesso tra questi obiettivi. Da un lato, su una rete P2P pubblica, è relativamente facile trovare ciò che la gente sta condividendo. Big Champagne già lo fa, compilando una 'Top 10' per le reti P2P. Questo tipo di monitoraggio non compromette la privacy degli utenti, poiché non lega le canzoni condivise ad informazioni identificative individuali. Allo stesso tempo, questo monitoraggio generale di rete può essere completato da un più attento monitoraggio di volontari.

Combinando questi due metodi sarebbe possibile ottenere un alto grado di accuratezza, protezione della privacy e prevenzione di eventuali imbrogli.


E SE I BUROSAURI NON VOLESSERO ?

L'industria musicale è ancora lontana dall'ammettere che il suo attuale modello di business è ormai obsoleto. Ma lo sforzo attuale di denunciare milioni di appassionati di musica è destinato a fallire. Dopo qualche altro trimestre di fiacche vendite, con le reti di file sharing che continuano a diventare più forti e dopo aver osservato il fallimento dei servizi legali di download a compensare i ricavi mancati, l'industria musicale avrà bisogno di un Piano Di Riserva.

Se, invece, continueranno la loro guerra contro Internet e ad infliggere danni collaterali alla privacy, all'innovazione e agli appassionati di musica può diventare necessario che il Governo forzi la mano. Il Governo può introdure una licenza obbligatoria e creare una società di raccolta, avviandoci tutti verso una ragionevole soluzione.

Il coinvolgimento del Governo. tuttavia, dovrebbe essere l'ultima risorsa. A mio avviso l'industria musicale avrebbe senz'altro il potere di proporre una soluzione ragionevole, più flessibile, più user-friendly. Occorre però vedere se possiede anche le capacità e l'intelligenza per farlo.


LAST BUT NOT LEAST

Gli artisti e i detentori dei diritti avrebbero la scelta di unirsi alla società di raccolta, e quindi prendere la loro parte delle somme raccolte, o restare fuori dalla società e non avere un modo pratico per ricevere compenso per il file sharing che inevitabilmente continuerà. Assumendo che un numero consistente dei maggiori proprietari di diritti musicali si uniscano alla società di raccolta, l'ampia maggioranza di piccoli proprietari sarà fortemente incentivata ad unirsi.

Secondo diversi sondaggi, la grande maggioranza degli utenti desidererebbe pagare una somma ragionevole per avere la libertà di scaricare qualsiasi cosa in qualunque modo desideri. Accanto a coloro che opterebbero di acquistare una licenza se gli fosse data l'opportunità, molti altri preferirebbero che la quota per la licenza fosse pagata da intermediari come gli ISP, le compagnie telefoniche e i venditori di software.

Se la somma da versare si manterrà ragionevole, invisibile per gli appassionati, e non restringerà la loro libertà, l'ampia maggioranza degli scambisti sceglierà sicuramente di pagare, piuttosto che intraprendere complessi sforzi di evasione.

Insomma, c'è da provarci.

In fondo cosa ci resta ancora da perdere ?

SOCIETA' ITALIANA ARRAFFONI ED ESTORSORI

Comunicato de "Gli Invisibili SIAE" N°2/2007 del 7 maggio.
Con preghiera di diffusione

A TUTTI GLI ADDETTI AI LAVORI DEL SETTORE MUSICALE

Oggetto:"Elezioni S.I.A.E. 2007/2011 sezione musica"

Cari amici, gli "invisibili" continuano a scrivervi.

Grazie per aver risposto numerosi al nostro precedente comunicato, siamo in tanti! Siamo di nuovo qui perchè oltre ad essere "invisibili" ci teniamo ad essere anche "trasparenti". Ma che vuol dire? E perché siamo "invisibili"?

ABBIAMO UN GRANDISSIMO PROBLEMA IN COMUNE. L'ANTIDEMOCRATICO SISTEMA ELETTORALE S.I.A.E. Se siamo arrivati ad avere un regolamento elettorale S.I.A.E. così antidemocratico la colpa è di tutti noi che abbiamo permesso che ciò abbia potuto avere corso.

Quanti di noi iscritti S.I.A.E. quando ricevono il "VivaVerdi" (mensile d'informazione della S.I.A.E.) lo leggono davvero con attenzione? Avete notato che su 100 pagine che riportano notizie dei "Vip" solo poche pagine - poste solitamente verso la fine del mensile - riportano le ordinanze approvate dai nostri "illustri rappresentanti" e relative ai vari criteri di ripartizione dei diritti ? Ordinanze che variano sotto i nostri occhi di anno in anno, talune volte anche con effetto retroattivo, a seconda delle più svariate esigenze economiche e politiche dei nostri "illustri rappresentanti"??? LA NOSTRA DISINFORMAZIONE E' LA NOSTRA PIU' GRANDE COLPA. "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza", disse Ulisse ai suoi compagni...

Più o meno sappiamo tutti che in sordina ci hanno cambiato i criteri di ripartizione, ma non sappiamo esattamente i sofisticati meccanismi messi in atto dai nostri "illustri rappresentanti" per non pagarci neanche un centesimo e dividersi l'intera torta tra di loro. ED E' ADESSO, ANCHE SE CON OVVIO RITARDO CHE DEVE SCATTARE LA MISSIONE DEGLI INVISIBILI!!!

QUAL'E'?
RENDERCI INVISIBILI!
COME?
CON "L'ASTENZIONE AUTOCOSCIENTE"

Che cos'è ?

Il 24 Giugno 2007, giornata delle elezioni per le nuove cariche fino al 2011, possiamo iniziare a mettere una minuscola pulce nel grande orecchio della S.I.A.E.. CI ASTENIAMO COMUNICANDO ALLA S.I.A.E. CHE CI SIAMO ASTENUTI IN MANIERA COSCIENTE E VOLONTARIA PER PROTESTA CONTRO QUESTO IGNOBILE SISTEMA ELETTORALE.

E come lo comunichiamo alla S.I.A.E.? Ognuno di noi potrà inviare una e-mail o un fax con il seguente testo:

"Contro l'attuale antidemocratico regolamento elettorale mi astengo dal recarmi a votare.
Firmato: un invisibile S.I.A.E."

Più invisibili invieranno questa e-mail o fax più forte sara' la nostra voce di protesta!

Il numero di fax della S.I.A.E. dove inviare il messaggio è: S.I.A.E. Sez. Musica 06 59902280
L'e-mail della S.I.A.E. dove inviare il messaggio è: S.I.A.E. Sez. Musica musica@siae.it

Ma come misurare la nostra vera forza ? Semplice. Chi aderirà a questa prima iniziativa inviando il fax o la mail alla S.I.A.E. la dovrà inviare per conoscenza anche a: invisibilisiae@tiscali.it.

E' ARRIVATO IL NOSTRO MOMENTO, INIZIAMO CON PICCOLE DOSI DI INFORMAZIONE!

Abbiamo rilevato dalle varie e-mail pervenuteci che la maggioranza di voi è assolutamente scontenta della attuale ordinanza di ripartizione inerente il "piano bar". Concordando pienamente in merito alle considerazioni negative inerenti l'ordinanza di ripartizione vorremmo illustrarvi in breve il catastrofico grafico in picchiata che la ripartizione ha subito negli ultimi 10 anni:

Dal 1997 al 2000 i brani riportati sui programmi musicali compilati dal musicista o più tecnicamente definito "direttore delle esecuzioni" erano ripartiti in maniera analitica e capillare ed ogni brano indicato sul programma musicale aveva un valore, a seconda se risultava di proprietà del solo autore, se edito, se risultava pubblicato su supporti diversi (CD + Musicassetta), se risultava programmato in RAI, se risultava programmato in almeno 200 locali sparsi su più regioni italiane e a seconda di quanto pagava il locale alla S.I.A.E.

Con questo sistema un brano poteva valere poche lire (nel caso proprietà del solo autore) ma poteva valere FINO A 21 VOLTE DI PIU' se possedeva tutti i requisiti. Mediamente in un locale standard che pagava circa Lire 40.000 giornalieri alla S.I.A.E. un brano poteva valere Lire 1.000. Questo sistema di ripartizione del piano bar era il risultato di un'ordinanza approvata dai rappresentanti di tutti gli iscritti eletti con le prime votazioni democratiche S.I.A.E.

Dal 2001 al 2006, a seguito di forti pressioni da parte delle nobili nonchè antiche famiglie S.I.A.E., i brani riportati sui programmi musicali compilati dal musicista o più tecnicamente definito "direttore delle esecuzioni" erano ripartiti sempre in maniera analitica e capillare ma senza considerare i requisiti di ciascun brano, bensì adottando il criterio " ad ognuno il suo": i brani elencati in ogni singolo programma musicale erano ripartiti a seconda di quanto aveva pagato per quella determinata manifestazione il locale. Mediamente in un locale standard che pagava circa EURO 20,00 (Lire 40.000) giornalieri alla S.I.A.E. un brano poteva mediamente valere 0,25 EURO (LIRE 250) - Calcolo effettuato sulla media di 80 brani eseguiti nell'arco di un trattenimento di 4 ore.

PERCHE' QUESTA NEONATA DEMOCRAZIA E' STATA UCCISA IN FASCE?
PERCHE' NON CE NE SIAMO ACCORTI?
Perché i "FURBONI DELLA SIAE" hanno escogitato un sistema apparentemente democratico (chiamando tutti a votare) ma classificando gli elettori A SECONDA DELLE LORO ENTRATE !

RISULTATO?
Nell'anno 2003 con le precedenti elezioni S.I.A.E. il gruppo di furboni ha escogitato il seguente regolamento elettorale (già meglio descritto nel nostro precedente comunicato):

IL 98,54% degli Autori pari a 63.832 su 64.778 vota in fascia A eleggendo 6 RAPPRESENTANTI
IL 1,46% degli Autori pari a 946 su 64.778 vota nelle fasce B+C+D eleggendo 10 RAPPRESENTANTI

E'chiaro ed evidente che questi 946 furboni non soddisfatti abbastanza dai milioni che prendono a destra e a manca, e forti della scarsissima informazione derivante dai 63.832 restanti autori una volta eletti hanno cambiato i criteri di ripartizione dei diritti del piano bar.

COME?
Dal 1 Gennaio 2007 i brani riportati sui programmi musicali compilati dal musicista o più tecnicamente definito "direttore delle esecuzioni" vengono ripartiti nel seguente modo:

- tutti i programmi musicali di un intero semestre che si riferiscono a circa 250.000 trattenimenti dal vivo producono un montepremi di circa TREDICIMILIONI DI EURO;

-la S.I.A.E. affida ad una società privata il compito di effettuare in maniera segreta e soprattutto non verificabile da nessuno di noi 500 registrazioni in 500 trattenimenti nell'arco del semestre;

-calcolando che per ognuna delle 500 registrazioni saranno rilevati una media di circa 30 brani, avremo un totale di circa quindicimila brani rilevati.

IL CONTO E' PRESTO FATTO!

Il 75% del montepremi di TREDICIMILIONI DI EURO pari a NOVEMILIONISETTECENTOCINQUANTAMILA EURO saranno divisi tra i 15.000 brani rilevati ed ogni brano percepirà la somma di circa SEICENTOCINQUANTA EURO

OVVIAMENTE NELLE 500 REGISTRAZIONI SEGRETE POTRA' ESSERE PRESENTE LO STESSO BRANO PIU' VOLTE!!!

Il restante 25% pari a TREMILIONIDUECENTOCINQUANTAMILA EURO sarà ripartito esclusivamente al 20% "estratto a sorte dai furboni S.I.A.E." sui 250.000 programmi musicali.

INDOVINATE UN PO' QUALI SARANNO I BRANI RILEVATI SEGRETAMENTE ED ESTRATTI A SORTE?

QUELLI DELL'INVISIBILE MARIO ROSSI O QUELLI RICONDUCIBILI AGLI ORMAI FAMOSI 946 ELETTORI DI FASCE B+C+D?

CHI HA IL FORTUNATO COMPITO DI EFFETTUARE LE RILEVAZIONI SEGRETE? LE FARA' FORSE A CASA SUA...?

CHI ESTRAE A SORTE IL 20% DEI PROGRAMMI MUSICALI? SARA' FORSE IL NOSTRO VICINO DI CASA O UNO DEI FAMOSI 946 ELETTORI DI FASCE B+C+D?

QUESTO NON CI E' DATO SAPERLO!

ALLORA: VOGLIAMO ANCORA CORRERE NUMEROSI ALLE VOTAZIONI?


CONCLUSIONE MERITATA:

La questione rimane sempre la stessa: OCCORRE SCARDINARE QUESTO ASSURDO SISTEMA ELETTORALE E RENDERLO FINALMENTE DEMOCRATICO.

Ultimo appello: FACCIAMO CRESCERE IL NUMERO DEGLI INVISIBILI INVIANDO QUESTO COMUNICATO A TUTTE LE NOSTRE CONOSCENZE E PRIMA DI ANDARCENE AL MARE, IL 24 GIUGNO, MANDIAMO IL FAX O LA E-MAIL ALLA S.I.A.E.

Ride bene chi ride ultimo !


Gli Invisibili S.I.A.E.

RADIO REGIME

Tratto da una storia vera.

Un noto artista riceve sul suo sito una mail da un fan. Il fan sostiene di aver chiamato una radio per richiedere il nuovo singolo dell'artista, richiesta alla quale è impossibile per la radio provvedere in quanto - a detta loro - sprovvista del disco in oggetto.

L'artista telefona al suo discografico. Il discografico ricorda bene di aver inviato il disco, la cosa gli pare strana. Così decide di chiamare la radio.

La responsabile viene informata dell'accaduto. Alla richiesta di spiegazioni da parte del discografico, ebbene si, ammette di avere il disco sulla propria scrivania, ma di non aver provveduto alla richiesta dell'ascoltatore in quanto il brano "non è in target con il nostro pubblico".

Ovvero: non importa cosa il pubblico richiede, noi sappiamo che cosa non va bene che ascoltino.

E da Radio Regime anche per oggi è tutto.

VITTORIA DI PIRRO

Nella guerra all'ultimo respiro dichiarata al P2P dall'industria dell'intrattenimento la notizia della vittima eccellente eDonkey (dopo Napster, la rete Kazaa, il software di Grokster, WinMX e la capitolazione di BitTorrent) ha fatto scalpore.

Ma cosa è davvero cambiato ?

Soltanto una cosa: ovvero che un altro protagonista di primaria importanza nella storia della rivoluzione digitale ha ceduto sotto i colpi della mannaia giudiziaria della RIAA, abbandonando definitivamente la scena. Si tratta di MetaMachine, la società responsabile del software di eDonkey e dell'iniziazione della rete di condivisione, che ha scelto la via del patteggiamento nella causa intentatagli contro dall'associazione dei burosauri americani.

L'accordo con RIAA prevede il pagamento di un'ammenda di 30 milioni di dollari e lo stop alla distribuzione del software utile per connettersi ai peer su eDonkey2000. Difatti il sito di eDonkey2000 non è più raggiungibile, mentre provare ad accedere a eDonkey.com porta alla presentazione a video di un messaggio che recita "La rete non è più disponibile. Se rubi musica o film, infrangi la legge". Viene persino visualizzato l'indirizzo IP della connessione di rete e l'affermazione "Non sei protetto dall'anonimato quando scarichi illegalmente materiale protetto da copyright".

I discografici hanno cantato vittoria: vista l'enorme popolarità della rete eDonkey2000 questa capitolazione viene letta come un colpo durissimo al file-sharing. Ma come è facile immaginare - per chi ha qualche neurone ancora a posto - anche stavolta i burosauri hanno confezionato una panzana che nulla ha a che fare con la realtà.

Ah, i fatti, questi sconosciuti !

Nel corso di questi anni frenetici il P2P ha dimostrato di sapersi reinventare. Esistono già diversi strumenti in grado di camuffare in maniera totale la presenza dell'utente e del suo computer in rete. Uno dei migliori è Relakks, darknet svedese, segno tangibile della prossima rivoluzione dell'anonimato nel file sharing. Lo può rintracciare persino un ragazzino, ma non siamo sicuri che i burosauri siano al corrente della sua esistenza.

Nessun problema, inoltre, sembra affliggere gli ex-utenti dell'asinello. Perchè già da tempo è eMule il client predominante per la connessione alla rete di server centralizzati compatibili con eDonkey2000. Per questo, il file sharing sulla suddetta rete non ha mai subito particolari contraccolpi. Checchè ne dicano i prezzolati analisti al servizio della Preistoria.

Morale della favola: per avere ragione di un asino non basta una legione di burosauri.

ARRESTATE DAVID BYRNE

E' ormai decisamente trasversale il movimento d'opinione anti-DRM e anti-Apple: mentre in Italia l'associazione Altroconsumo, sull'esempio di altre organizzazioni europee, ha già raccolto 13 mila firme di cittadini che invocano la libera disponibilità della musica acquistata su iTunes, sull'argomento si è levata dagli Stati Uniti un'altra voce autorevole: quella di David Byrne, ex leader dei Talking Heads.

Intervenuto nei giorni scorsi al South by Southwest di Austin con una relazione dall'esplicito titolo "Case discografiche: chi ne ha bisogno?", il celebre musicista ha indicato nel non lontano 2012 "l'anno della svolta", durante il quale le vendite di file digitali supereranno quelle dei cd.

A quel punto le case discografiche si troveranno di fronte a un bivio: concentrare le risorse su megastar alla Beyonce o affinare sinergie e attività di marketing usando la musica registrata come prodotto civetta per vendere altro, per esempio biglietti per concerti e merchandising.

Quanto agli artisti, ha aggiunto, la situazione non li favorisce: nonostante l'azzeramento virtuale dei costi di produzione e di distribuzione, dalle vendite di canzoni su iTunes e sugli altri negozi di musica digitale ottengono le stesse, se non meno royalties che incassano dai cd. Ma guarda un pò che strano...

Come uscire dall'impasse? Allearsi a etichette più "artist friendly" o arrangiarsi da soli, sempre che si possa contare già su una fan base, dandosi anche da fare con i nuovi mezzi che la tecnologia mette a disposizione: YouTube, ad esempio, "che a un artista offre più possibilità di Mtv".

Per finire, arriva qualche riflessione dalla parte dei consumatori e l'attacco al DRM: Byrne ha ammesso che, quando non si rivolge a siti come eMusic, si procura musica anche illegalmente, dicendosi costretto dal fatto che i download da iTunes non si possono ascoltare su lettori diversi dagli iPod.

Chissà se i burosauri faranno arrestare anche lui ?

I DITTATORI DEL GUSTO

Non vi preoccupa il panorama odierno della radiofonia, e la nostra dipendenza da questo sistema ?

Una situazione come quella odierna non si è mai vista. E' un disastro su tutta la linea. La radio è ormai diventata un'entità a sè stante, il cui unico dogma è l'audience. Se si eccettuano pochi casi isolati, fanno tutti la stessa radio, e hanno tutti lo stesso format. I primi 50 brani sul Music Control si sentono in continuazione, e restano in playlist per tempo immemorabile, rallentando il ricambio di musica.

Le statistiche (se vogliamo definire così i dati che ci arrivano da Audiradio) ci dicono che le audiences siano più o meno stabili, o perdano relativamente poco. Può darsi. Quello che però è certo è che i compratori di dischi si stanno allontanando dalla radio. Prova ne è la quantità crescente di successi di classifica che non corrisponde con l'airplay chart. E viceversa. Soprattutto viceversa, oserei dire. Perchè quello che spesso succede - anche costruendo un grande successo - è che l'investimento necessario per produrlo diventa troppo oneroso rispetto ai risultati ottenuti.

Stiamo tutti qui a lamentarci che i dischi non si vendono, ma stiamo veramente facendo qualcosa per cambiare la situazione ? A parte fare causa ai nostri consumatori in attesa di trovare l'idea che renda profittevole il file-sharing, ovvero la radio del futuro ?

Nemmeno le majors, che sostanzialmente controllano quasi il 90% dello spazio riservato alle playlists, possono trarre molto giovamento dal sistema di consolidazione delle playlist promosso dal Music Control. Un sistema di rilevazione è senz'altro utile. Un sistema di rilevazione che diventa il punto di riferimento per consentire anche a un sordo di poter gestire una playlist porta con sè qualcosa di deleterio. Spezzare il fronte delle resistenze dei programmatori sugli artisti emergenti, ad esempio, è diventato un problema colossale. Anche le majors, che talvolta ci riescono (ma a che prezzo?), lo sanno benissimo.

La nouvelle vague comportamentale che contraddistingue l'attuale generazione di programmatori pare essere contagiosa. Raggiungerli al telefono è una corsa ad ostacoli. Farsi richiamare è utopia. Non leggono le e-mail, e se lo fanno non rispondono mai. La loro professionalità è discutibile, la loro affidabilità nulla. Alcuni di loro scompaiono nel nulla a tempo indeterminato. E se tutto questo non fosse già abbastanza, è tristemente noto come presunzione, incompetenza, egocentrismo siano i tratti distintivi principali di molti tra loro.

Un tempo, se raggiungere i networks nazionali era comunque target difficilissimo, le radio locali perlomeno mostravano la volontà di osare, di collaborare: oggi sono le più rigide tra tutte. Se non sono i networks a lanciare un brano spesso non fanno assolutamente nulla. Vivono di riflesso. Succede anche con brani che stanno in top 40 o in top 20. Propositività, differenziazione, rischio sono parole sconosciute per loro.

Poveri discografici. La dittatura è stata ribaltata. Gli servirà ancora fare i cosiddetti "giri di ascolto" dei nuovi brani alle radio ? Ci risulta che sempre più spesso ciò che viene detto face-to-face ai responsabili della promozione durante queste sessioni finisca per non corrispondere con ciò che la radio farà. Uno torna dal suo capo, magari si espone un pò perchè il tal programmatore lo ha rassicurato sull'inserimento in playlist del tal brano, per poi fare una figura imbarazzante nelle successive settimane quando il tal brano non entrerà in playlist. Ma allora perchè perdere tempo ?

E invece no. Perchè i discografici, e i burosauri in particolare, amano perdere tempo. E amano anche buttare soldi. Così non solo finanziano un sistema per controllare l'incontrollabile, ma diventano disposti a tutto pur di assecondarlo, finendo inevitabilmente per perdere di vista ciò che desidera la GENTE.

Oggi la pubblicità in radio non si fa più per promuovere un disco, bensì per indurre i programmatori a inserirlo in playlist. E' diventata una moda tra i geni del buro-marketing. L'intuizione, tuttavia, non sembra avere un futuro promettente. La leggenda infatti narra di diverse campagne do-ut-des rifiutate da note emittenti nazionali perchè, a detta di alcuni, se dovessero accettare tutte le proposte non basterebbe loro il palinsesto di tre radio per onorarle.

A nostro avviso esisterebbe un modo più semplice per mettere le radio in condizione di fare scelte diverse. Un modo sottile, poco doloroso e assai economico.

A un programmatore di una hit radio basta guardare il Music Control per vedere quali siano i 50 brani più suonati del momento. Se non vuole rischiare nulla - e nessuno oggi vuole farlo - non farà altro che suonare i nomi più consolidati nella chart, al massimo arricchendoli con pochissime novità di sicuro richiamo.

L'eliminazione del Music Control gli toglierebbe quindi un punto di riferimento fondamentale.

E' un'idea così assurda ? La discografia paga centinaia di migliaia di euro per rilevare l'andamento dei propri brani in radio, molti dei quali che non avranno mai successo, nè pur avendolo riusciranno a tradurlo in vendite. A che scopo ? Perchè fornire a chi ne trae esclusivo giovamento uno strumento per limitare la differenziazione del mercato, cosa che è invece nell'interesse della discografia ? Perchè, piuttosto, non investire in formule di promozione alternativa ?

Fateci un pensiero. Gli unici due networks del panel del Music Control che operano le proprie scelte sulla base di un'idea di format - e non confrontandosi con la chart - sono Radiouno della Rai e Radio Deejay. La varietà di musica, la propensione verso la proposta, gli orizzonti aperti di queste due realtà non hanno uguali tra le radio del Music Control.

Sarà un caso se sono le due radio più ascoltate in Italia ?

PAY TO PLAY

Ammettetelo, ve lo siete sempre domandati tutti. Le case discografiche pagano le radio affinchè infoltiscano le proprie playlist con i brani da loro prescelti ?

Esiste una sola risposta a questo quesito: non è forse evidente ?

In America questa pratica si chiama “payola”, ed è illegale dal 1960. La discografia, però, non ha mai resistito alla tentazione di riesumarla. Lo ha fatto per ben tre volte nel giro di mezzo secolo: chissà quante altre volte succederà ancora. Le cose proibite, in fondo, sono quelle che più ci affascinano.

Lo scorso febbraio, l'avvocato dello Stato di New York Eliot Spitzer ha aperto un procedimento giudiziario per denunciare i pagamenti sottobanco ricevuti dalle radio americane da parte delle case discografiche. Brani di artisti come Jennifer Lopez, Celine Dion, Maroon 5, Franz Ferdinand e R.E.M sono finiti sotto inchiesta. In cambio di passaggi radiofonici preferenziali, le multinazionali hanno "investito" consistenti risorse per assicurarsi il sostegno delle principali emittenti radiofoniche. Per ogni brano si calcola che sia stato "investito" un equivalente in denaro compreso tra i 100 e i 500 mila dollari.

Eppure, al loro terzo tentativo, i managers delle multinazionali del disco avevano provato a farsi più furbi. Basta bustarelle nelle copertine degli albums o dei 12” inviati ai dee-jays. Basta con recapiti a domicilio di materiale promozionale da parte di atletiche biondone con la sesta di reggiseno. Basta bustine di cocaina nascoste dentro il pratico jewel box dei cd promo. Le bustarelle del nuovo millennio hanno la forma di premiums. Davvero molto moderno.

Ma di quali contropartite stiamo parlando ? Parliamo di favori e regali, ovviamente. Di concorsi esclusivi, di investimenti pubblicitari, di operazioni commerciali, di offerte di pacchetti-vacanza, persino di biglietti per la finale del Superbowl... E’ significativo il caso di Celine Dion: per suonare il suo “I Drove All Night”, ai programmatori delle radio veniva offerto un weekend gratis per due persone a Las Vegas. Ci pensate ? Le case discografiche intrattengono i programmatori delle radio, affinchè intrattengano a loro volta il pubblico con musica accuratamente "preselezionata"… Lo vedete, come funziona la grande catena dell’intrattenimento ?

Stavolta però le majors, una dopo l’altra, hanno ammesso immediatamente le loro responsabilità. Se la sono cavata con un patteggiamento, e una multicina piccina piccina. La Sony BMG, ad esempio, ha accettato di pagare una multa di 10 milioni di dollari, anziché andare per vie legali. Una cifra irrisoria, se paragonata al fatturato generato grazie al payola, valutabile nell’ordine di centinaia di milioni di dollari.

Dopo lo scoppio del nuovo scandalo, sono stati diversi gli operatori del settore europei - chiamati in causa in numerose interviste ed uscite pubbliche - ad affrettarsi a delimitare l’adozione di questa pratica al confine americano. La maggioranza dei mercati del Vecchio Continente, secondo loro, sarebbe di dimensioni troppo poco significative per pensare di correre rischi del genere. Che strano. Da noi in Italia, per esempio, il payola esiste eccome. Ed è una forma d’arte piuttosto creativa.

Una delle pratiche che vanno per la maggiore nel nostro Paese, ad esempio, è quella della cessione di punti editoriali come contropartita. Società di edizioni collegate ai gruppi radiofonici acquisiscono percentuali sui diritti di pubblica esecuzione legati a determinate canzoni, in cambio di una programmazione massiccia. Naturalmente, più passaggi vengono dati ai singoli brani, più l’introito per le radio aumenta. Un meccanismo molto ben congeniato, al quale si sono prestati nel tempo fior fiore di artisti. Da Ligabue agli Zero Assoluto.

Vi sorprende ? Non credo. Basta ascoltare cosa suonano le radio, e quanto lo suonino, per capire che c’è qualcosa di anomalo nel loro funzionamento. Ciò che invece è davvero sorprendente, è che nel nostro Paese NON ESISTE UNA LEGGE che impedisca a certi soggetti di stringere questo genere di accordi.

Naturalmente, ci sono canzoni “di successo” che godono di un trattamento privilegiato in maniera del tutto spontanea. Le radio hanno i loro criteri selettivi, e non sono certo disposte a rischiare di perdere ascolti per promuovere artisti e repertori estranei ai “valori” che desiderano veicolare. Difficilmente, perciò, i Korn passeranno mai su radio come RTL o RDS: anche di fronte a proposte indecenti. Il corollario di questa situazione è che il payola non è sufficiente per ottenere con certezza l’appoggio delle radio. Ecco perchè non ha preso piede da noi, come invece è successo negli USA.

Ma esiste anche un motivo migliore, che fotografa chiaramente quale sia la posizione della discografia in questa sceneggiata. La verità è che le bustarelle alle radio sono diventate un pessimo affare: sia per i discografici (dal momento che il mercato dei supporti fisici attraversa una clamorosa fase involutiva) che per le radio (che guadagnano molto di più dalla raccolta pubblicitaria su altri settori merceologici).

Riassumendo: sono finiti persino i soldi per corrompere. Forse è per questo che i visionari della grande industria contemporanea si stanno orientando verso la produzione di contenuti ad hoc per i media generalisti.

Certo, è diverso dal corrompere i programmatori.
E’ più come fabbricargli le scarpe su misura.

UNIVERSAL VS. MYSPACE

Se siete tra quelli che pensano che le majors avessero già toccato il fondo, ricredetevi.

Notizie recenti ci informano che la più grande corporation del disco al mondo, ovvero Universal Music, ha citato in tribunale MySpace per violazione del copyright, sostenendo che il sito incoraggia e favorisce il libero uploading e la condivisione di materiale di proprietà della Universal.

Tira aria strana da quelle parti. Il CEO Doug Morris, di recente, si è spinto oltre ogni immaginazione, definendo "ladri" i proprietari di iPod. Siamo tutti dei ladri, amici ! Secondo Morris, inoltre, compagnie come la Apple sarebbero responsabili del fatto che milioni di persone comprino il benedetto aggeggio per ascoltarvi la musica illegalmente scaricata tramite i networks di file sharing e altri darknets.

Che stupidi, noi che abbiamo pensato che la cosa dipendesse dal fatto che la gente sia stata per quasi un secolo soggiogata dal mantra del prodotto, obbligata ad acquistare albums a prezzi esorbitanti per ascoltare musica scadente, asfissiata dal marketing ossessivo e sensazionalista iniettatole a forza tramite i grossi media, annoiata a morte dall'omologazione delle proposte. Invece è tutta colpa della Apple (la prima azienda al mondo a permettere il downloading legale di musica a pagamento), o di MySpace (il principale propulsore della scena musicale indipendente odierna).

Questa vicenda mi ricorda fin troppo facilmente il caso-Napster. E' evidente che a certa gente non ha insegnato NULLA. Ma la cosa più preoccupante è un'altra. Col suo atteggiamento, la Universal dimostra ancora una volta quanto le grosse corporations vogliano ostacolare la cultura della condivisione, che è invece il motore nonchè la linfa vitale della nuova generazione di consumatori di musica.

Senza MySpace non sarei mai potuto venire a conoscenza di molti artisti di cui ho acquistato i cd o scaricato i brani su iTunes, semplicemente perchè nè la radio nè le tv tematiche concedono a queste realtà uno spazio. Per chi fa il mio lavoro, inoltre, MySpace è una risorsa utilissima per restare in contatto col mondo reale, che è molto diverso da quello che si discute nelle riunioni di marketing. Credetemi, posso dirlo per esperienza.

La Universal, come molte majors, sostiene che le loro azioni sono rivolte a "proteggere" la proprietà intellettuale dei loro assistiti. E' però risaputo che la royalty media incassata da un artista sotto contratto major su ciascun file digitale venduto corrisponda all'incirca a 6 cents. Moltiplicandoli per i 10 brani di un album, verrebbe fuori un totale di 60 cents. La royalty media di mercato per il supporto fisico, nel caso di un album su major, è invece di circa 1,50 € per copia venduta.

Un amico, una volta, mi ha mostrato il suo contratto con una major. Ho trovato curioso che prevedesse una clausola che riduceva del 40% la base di calcolo della royalty sulle vendite digitali, a causa di "deduzioni per il packaging". Qualche poveretto, in quell'azienda, starà ancora cercando di spiegare a qualcuno come si "impacchettino" i files mp3 ?

Grazie al boom del download a pagamento e legale, quindi, la Universal - così come tutte le altre majors - ha trovato un modo di restringere ulteriormente la fetta di torta riservata ai legittimi inventori, creatori, ed esecutori delle opere da loro vendute. Altro che difesa della proprietà intellettuale.

Mi chiedo soltanto se a gente come Doug Morris non venga mai in mente un inquietante pensiero. Man mano che i guadagni degli artisti major sulle vendite di supporti musicali si avvicinano sempre di più allo zero, e vista l'attuale carenza di spazi per essere visibili, che cosa li tratterrà ulteriormente dal pensare di cominciare a regalare la loro musica, se non per altro allo scopo di farsi conoscere ? E vista l'esistenza di siti come MySpace, che consentono loro di promuovere la propria attività direttamente al pubblico, che bisogno può esserci oggi di buttare nel cesso oltre il 90% dei propri potenziali guadagni ?

Fossi nel signor Morris, ecco cosa mi farebbe veramente paura.