IL RE E' NUDO

Scusate la pigrizia, ma quando ce vò ce vò...
Vi riportiamo qui sotto il testo di un interessante articolo tratto da Rockol del 25 settembre.
L'originale è disponibile cliccando QUI.
Tanto per farvi capire in quali "mani" sia la musica in Italia... O dobbiamo dire "zampe" ?


Si è parlato tanto di “sistema musica”, di operatori che devono fare gruppo e formulare strategie coerenti, durante le giornate del MEET Milano che si è chiuso ieri sera nei padiglioni della Fiera di Rho. Ma quel sistema per ora non esiste (bastava girare tra gli stand e buttare un occhio ai convegni per averne immediata conferma) e tanto meno esistono strategie comuni: lo hanno ammesso, ed evidenziato, anche i relatori incaricati di presentare e commentare il Rapporto 2007 sulla Economia della musica in Italia, realizzato dal Centro Ask (Art, science & knowledge) dell’Università Bocconi in collaborazione con Dismamusica (distributori di strumenti musicali), FEM (editori musicali) e SCF (agenzia di collecting fonografico).

Tutti scontano, anche a livello politico e istituzionale (e nonostante la volonterosa presenza in sala del responsabile musica della Direzione Generale Lombardia), la dimensione ristretta del mercato, 2,95 miliardi di euro tra vendite di supporti musicali e di strumenti, diritti SIAE e connessi, incassi al botteghino di concerti e discoteche (“più o meno la spesa che gli italiani riservano alle calzature”, ha spiegato il professor Andrea Ordanini coordinatore del rapporto). Una dimensione sostanzialmente stabile nel suo complesso (- 4,6 % rispetto ai 3,1 miliardi del 2005), anche se al suo interno sta cambiando, e non poco, l’ordine dei fattori: discografia tradizionale a picco ( - 18,1 %, 607 milioni di euro di sell-out, cioè di spesa del pubblico che in tre anni ha perso circa un quarto del suo valore), “digital delivery” in leggerissima crescita (+ 1,5 %, 108,95 milioni di euro) anche se – spiega ancora Ordanini – un elemento di conforto e di speranza per la discografia è dato dalla crescita sostenuta dei contenuti a maggior valore aggiunto, download di brani musicali da Internet e da “mobile” (+ 116 %, da 3,2 a 6,9 milioni di euro) rispetto allo stallo di prodotti “saturi” e meno remunerativi per l’industria come le suonerie (da 104,1 a 102 milioni).

Il rapporto della Bocconi, giunto al suo terzo anno, rileva anche lo spostamento demografico del pubblico (in Gran Bretagna un cd su due è acquistato da chi ha più di 40 anni), la situazione più o meno stabile dell’industria della musica dal vivo (310 milioni di euro gli incassi al botteghino nel 2006: con una spesa annua per famiglia, 12 euro, che, sottolinea ancora Ordanini, “corrisponde più o meno alla metà del prezzo del biglietto di un concerto pop”) e la ripresa del segmento del ballo (285,7 milioni di euro la spesa al botteghino, il 2,1 % in più del 2005). Nel frattempo, quasi un terzo dei diritti maturati da autori e compositori musicali proviene da radio e televisione (153,4 milioni di euro, erano stati 121,6 nel 2005), aumentano in controtendenza al mercato generale i diritti connessi raccolti dai discografici attraverso la SCF (32,8 milioni di euro, + 20 % nel settore broadcasting e + 45 % nell’area dei pubblici esercizi) e cresce per il terzo anno consecutivo la spesa per strumenti musicali, fortemente correlata anche ai consumi discografici; i 350 milioni di euro incassati, + 4,4 % rispetto all’anno precedente, equivalgono tuttavia a una spesa pro capite inferiore ai 5 euro, un quarto degli Stati Uniti e quasi la metà della Germania.

Alla presentazione dei dati segue un dibattito, sollecitato da Ordanini e Stefano Baia Curioni, suo collega alla Bocconi: durante il quale Paolo Corsi (FEM) lamenta la netta contrazione degli investimenti destinabili agli artisti di “classe media” che non si autoproducono come i giovanissimi e che non sono ancora delle star, Gianluigi Chiodaroli (SCF) invita realisticamente a “aggregare le nostre debolezze per trasformarle in un punto di forza” e Antonio Monzino Jr. (Dismamusica) insiste sulla necessità di un’alfabetizzazione musicale del paese. Le conclusioni sono sconfortanti: l’industria, e il sedicente “sistema musica” non ha per ora nuovi modelli di business da proporre e risposte convincenti da offrire ai nuovi bisogni e desideri espressi dal consumatore, arroccandosi nella difesa di posizioni conservatrici e sempre più insostenibili.

I manager del settore, spiazzati dalla rivoluzione digitale e incapaci di interpretare il nuovo mercato, stanno abdicando al loro ruolo?