C'è uno strano preconcetto nell'universo discografico. La credenza comune è che le majors siano l'origine di ogni male, e le indies l'isola felice in cui rifugiarsi onde prosperare, magari più lentamente ma senza compromessi, evitando di essere sedotti e abbandonati da un'industria senza coscienza nè direzione.
L'esperienza ci insegna, in effetti, a diffidare delle majors. Leggere i loro contratti può diventare un'esperienza surreale. E non comprenderne le implicazioni risulta spesso fatale. Avete mai sentito parlare di costi recuperabili ? Di "collateralizzazione incrociata" ? Di deduzioni sul "packaging" dei files digitali ? Di three-quarter rates ? Presto su questo blog terremo un corso accelerato su tutte queste meravigliose clausole, spiegando a tutti come e perchè da poche insulse righe possa dipendere la vita o la morte di un artista, discograficamente parlando. Per ora, invece, ci limiteremo a sfatare la credenza comune. Perchè, che vi sembri strano o meno, nel mondo delle nostre indies c'è gente che non si accontenta di obbligare gli artisti a sottoscrivere accordi particolarmente penalizzanti. Nel mondo delle indies, infatti, succede anche di peggio.
Qualche mese or sono ci è capitato tra le mani un "contratto di distribuzione" di una tra le realtà indipendenti che godono di maggior credito nel nostro panorama: la Compagnia Nuove Indye. Sul loro sito si definiscono così: "La nostra compagnia ha iniziato la sua attività nel 1992 nella produzione - promozione e distribuzione di prodotti discografici e circuitazione di spettacoli musicali. Fin dall'inizio il nostro obiettivo è stato il recupero di quei valori delle tradizioni culturali presenti su tutto il territorio del nostro paese, che erano rimaste soffocate e svilite dal massiccio bombardamento dei mezzi di comunicazione, pilotati da culture dominanti e da multinazionali". Molto nobile ed etico. Infatti, alla loro scuderia appartengono artisti con una credibilità inattaccabile: Alibia, Agricantus, Banda Osiris, Almamegretta, Denovo, John Trudell, Nidi D'Arac, addirittura Ennio Morricone. La CNI fa parte del PMI, l'organo istituzionale che rappresenta le principali indies italiane. Ammettiamolo: un posizionamento invidiabile, e una longevità sorprendente.
Certo, le cose diventano molto meno sorprendenti leggendo il contratto a noi pervenuto, per gentile concessione di un lettore che desidera restare anonimo. E noi rispetteremo questo suo desiderio.
Anzitutto è bene partire dalla tipologia. L'intestazione dice "contratto di distribuzione in conto vendita". Molto specifico. Un simile contratto non prevede obblighi da parte del "distributore", se non quello, per l'appunto, di distribuire un prodotto. Niente copertura spese o anticipi o contributi agli artisti, quindi, lasciando però loro la proprietà delle registrazioni. Scelta condivisibile. In cambio, CNI chiede agli artisti una quota fissa per ogni cd venduto, pari a 4 € a copia.
Che cosa significa ? Si tratta di un distributore che chiede in cambio non una percentuale sui guadagni - come sarebbe corretto, visto che nella discografia regolare la ripartizione viene calcolata in percentuale sul prezzo praticato al rivenditore, ovvero il PPD, al netto degli sconti - ma una quota fissa. Cosa che può avere conseguenze davvero spiacevoli.
Vi facciamo un esempio pratico. Diciamo che un artista accetti di distribuire a queste condizioni, e voglia uscire sul mercato con un prodotto al prezzo al pubblico di 14 €. In teoria, per ogni copia venduta, dovrebbe darne 4 a CNI. Il PPD lordo per un prodotto venduto a 14 € si aggira all'incirca sugli 8,70 €. Togliendo gli sconti classici praticati ai negozianti (15-20% circa: diciamo 15%), il PPD netto è 7,40. All'artista spettano quindi 3,40 €, ovvero poco meno di quanto spetti a CNI. Di solito, invece, un distributore trattiene circa il 30-35% del PPD netto, quindi l'artista dovrebbe guadagnare all'incirca il doppio del distributore.
E poi, naturalmente, bisognerà sottrarre l'IVA alle singole quote. Quindi queste cifre vanno ridotte ancora del 20%.
Lo scenario appare già di per sè abbastanza inquietante ? Ancora non avete letto nulla. Perchè leggendo più in basso, troviamo qualcosa di ancora più sconcertante. Infatti, nella sezione "Promozione Punti Vendita" il distributore "si impegna ad inserire il prodotto in oggetto nel proprio catalogo e nel sito www.cnimusic.it e ad effettuare una promozione sui punti vendita", però "a fronte di tale impegno" l'artista "dovrà corrispondere Euro 8.000,00 + IVA al distributore". Traduzione: se volete distribuire dovete cacciare il grano. Perchè ? Per promuovere il vostro disco nei negozi. Ma scusate, non è uno dei compiti del distributore ?
E vabbè: sono tempi duri per tutti. Ammettiamo allora che l'artista accetti di dare a CNI questo contributo. Ma per che cosa esattamente vengono spesi questi 8000 €, sedici milioni delle vecchie lire, più IVA ? Il contratto non lo specifica. Perciò il nostro informatore ha telefonato a CNI per chiedere delucidazioni: scusate, potreste dirmi esattamente a cosa vi serva questo (mio) denaro ? La risposta, gentile ma ferma, ha dello sconcertante: un semplicissimo NO. Non vogliono dirlo. Bisogna dar loro i soldi, e basta.
Vogliamo fare ancora due conti ? L'artista versa 8000 € + IVA a fondo - e motivo - perduto. Ovvero: è già in perdita prima di cominciare. Se recupera 3,40 € a copia venduta, questo significa che ci vogliono poco più di 2800 dischi venduti per andare in pari. Una cifra considerevole. Se consideriamo poi le spese per fare un pò di marketing, realizzare un video, stampare i cd, è facile che questa soglia si alzi oltre le 4-5000 unità vendute. Tanto quanto certi dischi che entrano nei primi 100 più venduti della classifica FIMI/Nielsen.
Aggiungiamo che il contratto prevede l'esclusiva distributiva per tutto il mondo. La prerogativa di un distributore, però, è quella di operare sul mercato locale. E' chi investe in licenze o in acquisizioni, per esempio una major o un'etichetta (e non un distributore "in conto vendita"), che di norma richiede questo tipo di esclusiva. Oppure chi può dimostrare di possedere una rete di vendita all'estero. Stando così le cose, a che scopo togliere all'artista la libertà di muoversi autonomamente sui mercati esteri ? Il master resta di sua proprietà, ma non può gestirlo per l'intera durata del contratto, in nessun Paese del mondo.
Corollario: siamo proprio sicuri che firmare un contratto "di distribuzione in conto vendita" con una compagnia come CNI conceda agli artisti più libertà di azione e sia più remunerativo rispetto a quanto succederebbe sottoscrivendo un accordo con una major ? Ne riparleremo. Ma una cosa è certa: i burosauri, quando si sgranchiscono, fanno almeno il gesto di contribuire al minimo indispensabile per avviare un progetto. Oppure, nel peggiore dei casi, si limitano a svolgere il loro dovere senza spendere un euro. Non sono ancora arrivati al punto di chiedere contributi agli artisti a fondo perduto e senza rendere conto del loro impiego.
Ma sapete com'è: si dice anche che i baldi giovini delle indipendenti precorrano i tempi. Che siano "avanti".
C'è quasi da sperare che lo siano un pò troppo.