PAY TO PLAY

Ammettetelo, ve lo siete sempre domandati tutti. Le case discografiche pagano le radio affinchè infoltiscano le proprie playlist con i brani da loro prescelti ?

Esiste una sola risposta a questo quesito: non è forse evidente ?

In America questa pratica si chiama “payola”, ed è illegale dal 1960. La discografia, però, non ha mai resistito alla tentazione di riesumarla. Lo ha fatto per ben tre volte nel giro di mezzo secolo: chissà quante altre volte succederà ancora. Le cose proibite, in fondo, sono quelle che più ci affascinano.

Lo scorso febbraio, l'avvocato dello Stato di New York Eliot Spitzer ha aperto un procedimento giudiziario per denunciare i pagamenti sottobanco ricevuti dalle radio americane da parte delle case discografiche. Brani di artisti come Jennifer Lopez, Celine Dion, Maroon 5, Franz Ferdinand e R.E.M sono finiti sotto inchiesta. In cambio di passaggi radiofonici preferenziali, le multinazionali hanno "investito" consistenti risorse per assicurarsi il sostegno delle principali emittenti radiofoniche. Per ogni brano si calcola che sia stato "investito" un equivalente in denaro compreso tra i 100 e i 500 mila dollari.

Eppure, al loro terzo tentativo, i managers delle multinazionali del disco avevano provato a farsi più furbi. Basta bustarelle nelle copertine degli albums o dei 12” inviati ai dee-jays. Basta con recapiti a domicilio di materiale promozionale da parte di atletiche biondone con la sesta di reggiseno. Basta bustine di cocaina nascoste dentro il pratico jewel box dei cd promo. Le bustarelle del nuovo millennio hanno la forma di premiums. Davvero molto moderno.

Ma di quali contropartite stiamo parlando ? Parliamo di favori e regali, ovviamente. Di concorsi esclusivi, di investimenti pubblicitari, di operazioni commerciali, di offerte di pacchetti-vacanza, persino di biglietti per la finale del Superbowl... E’ significativo il caso di Celine Dion: per suonare il suo “I Drove All Night”, ai programmatori delle radio veniva offerto un weekend gratis per due persone a Las Vegas. Ci pensate ? Le case discografiche intrattengono i programmatori delle radio, affinchè intrattengano a loro volta il pubblico con musica accuratamente "preselezionata"… Lo vedete, come funziona la grande catena dell’intrattenimento ?

Stavolta però le majors, una dopo l’altra, hanno ammesso immediatamente le loro responsabilità. Se la sono cavata con un patteggiamento, e una multicina piccina piccina. La Sony BMG, ad esempio, ha accettato di pagare una multa di 10 milioni di dollari, anziché andare per vie legali. Una cifra irrisoria, se paragonata al fatturato generato grazie al payola, valutabile nell’ordine di centinaia di milioni di dollari.

Dopo lo scoppio del nuovo scandalo, sono stati diversi gli operatori del settore europei - chiamati in causa in numerose interviste ed uscite pubbliche - ad affrettarsi a delimitare l’adozione di questa pratica al confine americano. La maggioranza dei mercati del Vecchio Continente, secondo loro, sarebbe di dimensioni troppo poco significative per pensare di correre rischi del genere. Che strano. Da noi in Italia, per esempio, il payola esiste eccome. Ed è una forma d’arte piuttosto creativa.

Una delle pratiche che vanno per la maggiore nel nostro Paese, ad esempio, è quella della cessione di punti editoriali come contropartita. Società di edizioni collegate ai gruppi radiofonici acquisiscono percentuali sui diritti di pubblica esecuzione legati a determinate canzoni, in cambio di una programmazione massiccia. Naturalmente, più passaggi vengono dati ai singoli brani, più l’introito per le radio aumenta. Un meccanismo molto ben congeniato, al quale si sono prestati nel tempo fior fiore di artisti. Da Ligabue agli Zero Assoluto.

Vi sorprende ? Non credo. Basta ascoltare cosa suonano le radio, e quanto lo suonino, per capire che c’è qualcosa di anomalo nel loro funzionamento. Ciò che invece è davvero sorprendente, è che nel nostro Paese NON ESISTE UNA LEGGE che impedisca a certi soggetti di stringere questo genere di accordi.

Naturalmente, ci sono canzoni “di successo” che godono di un trattamento privilegiato in maniera del tutto spontanea. Le radio hanno i loro criteri selettivi, e non sono certo disposte a rischiare di perdere ascolti per promuovere artisti e repertori estranei ai “valori” che desiderano veicolare. Difficilmente, perciò, i Korn passeranno mai su radio come RTL o RDS: anche di fronte a proposte indecenti. Il corollario di questa situazione è che il payola non è sufficiente per ottenere con certezza l’appoggio delle radio. Ecco perchè non ha preso piede da noi, come invece è successo negli USA.

Ma esiste anche un motivo migliore, che fotografa chiaramente quale sia la posizione della discografia in questa sceneggiata. La verità è che le bustarelle alle radio sono diventate un pessimo affare: sia per i discografici (dal momento che il mercato dei supporti fisici attraversa una clamorosa fase involutiva) che per le radio (che guadagnano molto di più dalla raccolta pubblicitaria su altri settori merceologici).

Riassumendo: sono finiti persino i soldi per corrompere. Forse è per questo che i visionari della grande industria contemporanea si stanno orientando verso la produzione di contenuti ad hoc per i media generalisti.

Certo, è diverso dal corrompere i programmatori.
E’ più come fabbricargli le scarpe su misura.